Una miccia per il Mezzogiorno

Il Piano per il Sud presentato dal governo, con la sua regola del 34% di spesa pubblica da destinare al Mezzogiorno, è un segnale importante di cambiamento

Lasciate perdere la speranza che le cose cambino da sole; il cambiamento è frutto delle scelte dei singoli, che siano consapevoli o meno. Non c’è nella storia nessun evento che sia accaduto da solo, la miccia che fa deflagrare la storia e che porta al cambiamento ha sempre un incendiario che la appicca. Che sia un martire folle come Pietro Micca o uno schivo con solide idee come Cavour, bisogna che abbia compreso la sostanza dei problemi e che abbia il tempismo per cogliere l’attimo giusto in cui le cose sono pronte per mettersi in marcia e il proprio atto possa mutare gli scenari. 

Uno che di cose complesse ne capiva, diceva che non ci sono problemi irrisolvibili ma solo domande mal poste. E facendosi le domande giuste ha spiegato che il tempo, nella relatività dello spazio infinito, non esiste. Non servirà Einstein per affrontare i tempi incerti ed il pantano del Mezzogiorno, ma è certo che se non ci cambia prospettiva difficilmente si riesce a risolvere un problema ed a cogliere cosa sia giusto fare.

Anni fa il governo Renzi, nel 2015, lanciò il Masterplan per il Sud. Una sorta di pot-pourri di interventi che avrebbero dovuto dare la scossa. Avviò l’istituzione delle Zone economiche speciali, completate da Gentiloni, avviò il programma Resto al Sud, con l’idea di dare risorse alle aziende ed ai singoli che si avviano al lavoro nel Mezzogiorno, introdusse un credito di imposta specifico e finanziò il tutto con risorse “aggiuntive”, prese dal bilancio asfittico dello Stato. Gli esiti della crescita del Mezzogiorno non si sono visti.

La ricetta gialloverde, con tanto di teca di vetro e presentazione da azienda di provincia degli anni novanta, era quella del Reddito di cittadinanza. Una misura “rivoluzionaria” che nel Mezzogiorno ha trovato tanti, sin troppi, beneficiari e che, dicono i numeri dell’Inps, ha prodotto solo un misero 2% di occupati su circa un milione di beneficiari, ad un anno dall’introduzione. Con punte bassissime in regioni come la Campania.

I numeri, a cui Einstein era parecchio affezionato per dimostrare le sue tesi, dicono che, secondo la Svimez, nel 2019 l’Italia farà registrare una sostanziale stagnazione, con incremento lievissimo del Pil del +0,1%. Il Pil del Centro–Nord dovrebbe crescere poco, di appena lo +0,3%. Nel Mezzogiorno, invece, l’andamento previsto è negativo, una dinamica recessiva: –0,3%. Masterplan e Reddito sommati hanno fatto meno di zero. Il problema persiste, dunque.

Di fronte a tutto ciò il Governo Conte ha lanciato il Piano per il Sud

Cosa prevede? In sostanza una semplice, quanto potenzialmente efficace, soluzione. A discapito di quel che si pensa (anche quando si parlava di risorse aggiuntive) la spesa procapite dello Stato nel Paese è drammaticamente sbilanciata. Il Nord usufruisce di una spesa per cittadino a carico dello Stato, come certifica Eurispes, nel periodo 2000-2017, di circa 4.000 euro procapite maggiore rispetto ai cittadini del Sud. Per fare un esempio concreto prendendo i due estremi, per un cittadino lombardo si è speso circa 22mila euro e, nello stesso periodo, per un cittadino calabrese di sono spesi circa 9.500 euro. Questa differenza è stabile e frutto di regole matematiche che hanno congelato i bilanci dello Stato sulla spesa storica e che distorcono la percezione. Si crede che vi sia spesa pubblica per il Sud, in realtà è molto maggiore al Nord. E le risorse investite negli anni pregressi non hanno neppure minimante risolto il problema.

La regola che un prossimo Dpcm dovrebbe introdurre entro il 31 marzo, secondo quanto annunciato da Conte e Provenzano, è quella che lo Stato deve spendere il 34% delle sue risorse nel Mezzogiorno. Una regola che esisteva solo nei proclami e dovrebbe diventare un obbligo concreto. Nei conti del ministro vi sarebbero 21 miliardi di risorse aggiuntive nel triennio 2020-2022, risorse da destinare ad infrastrutture ed istruzione, in mondo da avviare opere strategiche e per poter finalmente tenere le scuole aperte anche il pomeriggio da settembre 2020. Semplicemente rimodulando le risorse già esistenti. Si aggiungerebbero poi una serie di misure prospettiche che identificano un metodo (il metodo Pompei) per valorizzare i giacimenti culturali e punti meno concreti, a dire il vero, in materia di energia e ambiente, accanto ad un rafforzamento delle politiche di investimento al Sud di Invitalia e Cdp. Nelle intenzioni ci sarebbe anche lo sblocco delle Zes (ancora al palo, impantanate nella burocrazia) ed una politica per gli insediamenti formativi di alto livello. Il tutto oggettivamente meno concreto della data del 31 marzo da cui partire per ristabilire equità nella spesa. 

Basta? Lo diranno i numeri. Certo è che se è vero che il mancato rispetto della regola del 34% ha prodotto un danno al Mezzogiorno di circa 10 miliardi per mancati investimenti dal 2008 al 2018, come dichiarato sempre dal ministro, sarebbe anche opportuno valutare se altre risorse vanno messe sul piatto per il recupero anche di quelle cifre e non semplicemente agire per un riequilibrio delle spese future. E questo potrebbe passare non solo per un rafforzamento prospettico di Invitalia (che ha una dote per tutto il Mezzogiorno di soli 250 milioni) ma con misure straordinarie di investimento ed incentivi. E se il reddito di cittadinanza fatica a uscire dalla dinamica della mancia, forse anche dai risparmi attesi da quella misura si può attingere altro per il Mezzogiorno.

Ma la vera sfida sarà capire se si riuscirà far saltare una dinamica della spesa storica punitiva per il Mezzogiorno e se avremo avuto a che fare con un incendiario dotato di tempismo o con una miccia che non accende nessun fuoco. Lo diranno i numeri, come al solito.

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