Ezra Klein è un giornalista ebreo, liberal nel senso americano del termine, che ha lavorato per i media tradizionali e che da alcuni anni ha lanciato un prodotto multimediale chiamato Vox. La piattaforma è aria fresca in un panorama statunitense di giornali e televisioni, in molti casi, ancorati a formule tradizionali. Il taglio dei contenuti è spesso troppo evidente, ma i suoi video e podcast, con un trattamento di post-produzione intelligente, sono diventati un buon modello per aiutare l’opinione pubblica a entrare nella complessità di questioni spesso troppo semplificate.
Ezra Klein ha appena pubblicato “Why We Are Polarized”, un libro in cui cerca di descrivere le ragioni del clima conflittuale che regna nel suo Paese. Klein sostiene che le coalizioni politiche degli ultimi 50 anni sono state intessute attorno a preferenze ideologiche, geografiche e culturali. Sembrerebbe logico che sia così. Ma questa dinamica ha causato una serie dei vortici in cui i media, i partiti e le istituzioni si sono estremizzati nel rispondere a un pubblico e a una cittadinanza sempre più polarizzati fino a quando lo stesso sistema non è stato messo in discussione. Che il sistema sia messo in discussione – non lo dice Klein, ma è facile dedurlo – fa dubitare dell’esistenza di uno spazio comune. I partiti, le istituzioni, invece di fermare la spirale, l’hanno accelerata. Probabilmente perché sono troppo deboli per difendere dei riferimenti che non sono più evidenti per nessuno.
La descrizione di Klein è perfettamente adattabile alla Spagna, all’Italia e a gran parte dell’Europa. In questo contesto e in questo clima, in cui le preferenze ideologiche e culturali, le opzioni identitarie diventano un assoluto, si discute, per la terza volta in Spagna, una proposta per depenalizzare l’eutanasia. È senza dubbio la situazione peggiore possibile per affrontare una questione così importante.
Da un lato, un’ideologia che concepisce i nuovi diritti come occasione per affermare l’autonomia assoluta dell’individuo (per cui l’eutanasia è presentata come l’ultimo obiettivo). Dall’altro, sebbene con una posizione di minoranza, un essenzialismo incapace di tener conto dei limiti della ragione, soggetta alle vicissitudini della storia, di fronte alle sfide etiche più impegnative. Ogni possibilità di conversazione scompare. Quel che sta accadendo negli ultimi giorni è propellente per la polarizzazione. Quella che sarebbe un’occasione preziosa per discutere del momento in cui tutte le preferenze ideologiche e tutte le identità vengono messe alla prova, diventa un pollaio con voci stridenti. Bisognerebbe chiedere a politici e moralisti di parlare di queste cose come se fossero ai piedi del letto di un paziente grave e cronico, di un malato terminale o nel corridoio di un ospedale, vicino alle stanze di chi sta morendo. Il primo dibattito parlamentare, tuttavia, è stato esattamente il contrario. La destra, con assoluta miopia, ha usato come grande argomentazione il fatto che l’eutanasia è promossa per risparmiare sui costi sanitari e la sinistra ha insistito nel presentarla come l’ultima libertà.
Sul vero tema, la difficoltà che c’è in Spagna di vivere una vita dignitosa fino all’ultimo, in realtà si dice poco. Il problema ha una dimensione medica relativamente semplice da risolvere con risorse, sensibilità e volontà politica per migliorare le cure palliative. E ha altre dimensioni legate al significato, quando il limite e la sofferenza acquistano importanza, che sono metapolitiche. È necessario parlarne, è necessario discutere di come inserirle nelle leggi.
In Spagna si muore male e le iniziative per migliorare le cure palliative non hanno avuto un adeguato sviluppo legale. L’Atlante delle cure palliative in Europa 2019 mostra che la Spagna è al 31° posto tra i 51 Paesi europei analizzati. Circa 228.000 persone muoiono ogni anno bisognose di cure proprie del fine vita e 80.000 non le ricevono. Mancano unità specializzate, familiari e pazienti non ricevono informazioni adeguate o privacy sufficiente. La medicina spagnola, così efficace in molti campi, non ha risolto molte delle sfide della formazione dei suoi professionisti per situazioni in cui non si può più curare.
Il Psoe ha voluto che l’elaborazione di una legge dedicata a una questione così delicata come l’eutanasia fosse effettuata senza le consultazioni che di solito vengono svolte con gli organismi della società civile. Troppa fretta e volontà di silenziare un dibattito molto necessario. Un dibattito che può essere portato avanti e in cui è necessario essere realisti sulla capacità delle leggi di mantenere determinati valori che non sono socialmente riconosciuti come tali. È auspicabile che la regolazione dell’eutanasia faccia il minor danno possibile, ma è illusorio pensare che, grazie alla legge, si possa difendere l’evidenza che non è condivisa secondo cui vale la pena vivere in ogni circostanza. C’è un modo per difendere certi valori che colpevolizza e separa dagli altri, polarizza, distrugge lo spazio comune. È contraddittorio affermare la vita senza includere la libertà di chi la vive.
Alla fine tutto è più semplice e più drammatico, più impegnativo: quando, grazie a chi e perché la sofferenza, il dolore, la solitudine, non hanno reso cancellabili i nostri giorni e i giorni di quelli che amiamo? Senza partire da questa domanda, tutto è combustibile per la spirale autodistruttiva di cui parla Klein.