Per umanizzare la salute basta la tecnologia?

La tecnologia avanza, ma non bisogna averne paura. Può cambiare in meglio il rapporto operatori-utenti, “umanizzando” salute e sistema sanitario

Ormai a tutti gli operatori sanitari viene richiesta un’approfondita conoscenza degli strumenti digitali e questo trend è destinato in futuro a crescere a dismisura, sotto la spinta dell’implementazione di più innovative tecnologie a cui si stanno dedicando le multinazionali del settore digitale.

Invece che considerarlo un ostacolo da evitare, il mondo della sanità dovrebbe prendere coscienza che questo gigantesco progresso tecnologico potrebbe lasciare spazio a un rapporto più vero, più stringente, più personale tra operatore sanitario (sia egli medico, infermiere o altro) e utente (paziente, caregiver e famiglie).

E’ indubbio che da una quindicina d’anni a questa parte stiamo assistendo a un passaggio epocale, senza precedenti nella storia per velocità e diffusione, segno tangibile dell’impatto, sempre più evidente, che sta portando, e porterà, la Quarta rivoluzione industriale, all’insegna dei dispositivi smart.

Perché, allora, è utile domandarsi, per tempo, come potranno cambiare i rapporti e i processi all’interno del sistema sanitario? Perché è opportuno chiedersi, per tempo, come verrà influenzata la medicina nei prossimi decenni?

Sono domande pertinenti, soprattutto se le leggiamo alla luce di alcuni dati del passato che fanno riferimento a semplici conoscenze di base. Gli errori medici, per esempio, negli Stati Uniti sono aumentati dai 90mila del 1999 ai circa 250mila del 2016 (fonte: John’s Hopkins University). Oppure: in soli otto anni la spesa per curare le complicanze dovute a errori dei medici è passata da 17 miliardi di dollari a 20,8 miliardi. E ancora: un chirurgo può provocare 2,5 volte più ricoveri oppure 3 volte più complicazioni (Birkmeyer, NEJM 2013).

Numeri, questi, che portano alla ribalta uno dei nodi principali della sanità moderna: come si possono ridurre al minimo gli errori in campo chirurgico. Giusto porsi la questione? Assolutamente sì. Benché, infatti, come recita l’adagio, errare humanum est (“errare è umano”), è tuttavia vero che riconoscere i limiti della conoscenza personale e i difetti dei processi umani come uno dei principali problemi della medicina non è un’ammissione di debolezza, quanto un’opportunità di miglioramento. Il tema è affascinante, e sarà approfondito in uno dei prossimi Editoriali.

Per ora rimaniamo sulla tecnologia. Quando condivisa e messa a disposizione di tutti, in termini di accessibilità, esaustività e “freschezza” dell’informazione, la tecnologia può diventare una risorsa preziosa per offrire maggiori e migliori occasioni di sostenere e accrescere la conoscenza. A fronte della possibilità di poter contare su un numero di dati sempre crescente, la capacità di sintesi e di interpretazione che i medici dovranno mettere a disposizione del sistema risulterà fondamentale. E tutto ciò contribuirà a fare la differenza tra una decisione sempre più appropriata e una sbagliata.

Lasciamo, quindi, alle macchine le procedure, le richieste da evadere, le informazioni “banali”, mentre le decisioni importanti vanno affidate nelle mani di uomini e donne che, forti della loro esperienza sul campo, possono dare un valore aggiunto al dialogo e al rapporto con i pazienti e con le loro famiglie.

Il dibattito è aperto ed è un punto decisivo per democratizzare e umanizzare la salute e il sistema sanitario. Con l’apporto, guidato, delle nuove tecnologie – e qui sta un secondo aspetto di umanizzazione che non può essere trascurato – sarà possibile “illuminare” i rapporti tra le persone, invece che affliggersi, come talvolta o spesso accade oggi, trincerandosi dietro un saccente accanimento scientifico o un grigio difensivismo burocratico.

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