L’umana dimora

La sostenibilità, per essere attuata, ha bisogno di un soggetto attivo, che lavori e abbia relazioni, di un uomo protagonista

“Un green new deal globale” è il titolo dell’ultimo libro di Jeremy Rifkin. Si può discutere e anche controbattere, ma non si può ignorare il bisogno di un nuovo corso economico legato anche ai problemi ambientali. Oltre alla fatica di approfondire evitando di semplificare problemi complessi, occorre anche sconfiggere il rischio che questi temi, più che essere visti nel quadro di una scelta di politica economica, vengano scambiati per appelli di carattere moralistico, quasi apocalittici, non diversi da quelli che alcuni gruppi religiosi annunciano come premonitori dell’ira di Dio che si scaglia contro il mondo.

Solo la disinvoltura arrogante del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, e l’irresponsabilità irrazionale del Presidente brasiliano Jair Bolsonaro, possono opporsi a un serio confronto con chi suggerisce un cambiamento del modello di sviluppo economico di fronte a quello che è in atto e al possibile futuro che ci aspetta.

Se Trump appare come l’erede di un’ideologia capitalistica che in 45 anni ha portato al disastro della crisi del 2008, Bolsonaro è il rappresentante di un “capitalismo straccione”, che vede grattacieli lussuosi sorgere accanto a favelas di disperati e giustifica l’inquietante dato fornito dall’Oxfam: l’un percento della popolazione possiede il 49 percento della ricchezza mondiale.

Accanto ai Trump e ai Bolsonaro marciano, con giustificazioni contraddittorie, i comunisti-confuciani-capitalisti-imperialisti della Cina (il Paese più inquinato del mondo) e gli emergenti indiani, che hanno ancora bisogno delle “caste” per pagare salari e stipendi.

Guardando a questi protagonisti politici mondiali sembra di trovarsi di fronte a un pessimo livello culturale e umano, condito con grande ipocrisia. Una classe dirigente che, in sostanza, promuove l’arricchimento a danno della maggioranza del mondo, distruggendo ogni tipo di ricchezza naturale, tollerando inquinamento, disboscamento di “paradisi” come l’Amazzonia, e mostrandosi completamente tetragona al bello, all’incredibile fascino della natura.

Ora, è ancora aperto il dibattito tra gli scienziati se sia l’uomo con le sue azioni improntate all’egoismo a compromettere la salute del pianeta o se siamo di fronte a fenomeni legati ai grandi cicli della terra, tra fasi di glaciazione e di riscaldamento, per il millenario e ricorrente spostamento dell’asse terrestre.

In tutti i casi, il fatto è che al momento l’aumento della temperatura rischia di sciogliere i ghiacciai, provocando l’aumento del livello dei mari, l’immersione di territori costieri e di terre abitate, causando eventi naturali catastrofici e la desertificazione inesorabile di territori. È pure un fatto la distruzione delle foreste in ogni parte del pianeta con il loro patrimonio animale e vegetale di diversità genetiche. Ed è sempre un fatto che ci sia un incremento grave di inquinamento dell’aria e dell’acqua, con un aumento della cementificazione disordinata, che sconvolge le megalopoli del “terzo mondo”, così come costruttori e amministratori locali di “casa nostra” hanno compromesso l’equilibrio ecologico e la bellezza della gran parte del nostro Paese. L’ultimo fatto è un piano irrazionale, scellerato si dovrebbe definire, di costruzione sulle coste della Sardegna.

Per questa ragione è facile comprendere che le battaglie ecologiche e quelle per la sostenibilità hanno il loro fondamento al di là delle ragioni scientifiche che determinano i problemi ambientali.

Tutto questo comporta un’adesione, anche ampia, alle scelte di sviluppo ecologico, ma spesso questa adesione sembra di facciata e appare unita a reticenze e imbarazzi privati, come se in fondo ci fosse qualche cosa di non convincente.

Le Nazioni Unite hanno sintetizzato la battaglia per la sostenibilità in 17 punti. Basterebbe un piccolo sondaggio, anche tra i simpatizzanti, per scoprire quanti conoscono veramente tutti i punti e soprattutto la loro connessione. E ancora di più, quanti collegano l’affronto di questi temi con la necessità di un nuovo modello di crescita. La lotta all’inquinamento è legata alla sconfitta della fame, e questa a un’istruzione di qualità; anche la parità di genere, la dignità del lavoro e la crescita economica, così come l’innovazione, la tecnologia e le infrastrutture sono tutti aspetti diversi di uno sviluppo sostenibile, definito dalla “Word Commission on Environment and Developement” come quello che “soddisfa i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità dei bisogni di quelle future”.

I 17 punti lanciati dall’Onu e la scelta della sostenibilità riguardano scelte di politica economica per il XXI secolo che sono condivise da grandi economisti, che non “predicano” la stupidità della cosiddetta “decrescita felice”.

È utile a questo punto suggerire un filo rosso, in tre momenti, che aiuti tutti a sentirsi parte attiva di questo scopo. Il primo momento che unisce i 17 punti dell’Onu è la rinnovata centralità dell’uomo nell’economia. Centralità dell’uomo ripetuta dagli ultimi pontefici e anche da tanti economisti, che hanno denunciato l’egoismo anacronistico e gli scempi dell’ideologia neoliberista di questi anni. La stessa ideologia della libertà di mercato, non sociale, dove ci sarebbe un’ipotetica e magica “mano invisibile” a regolare i cicli.

In fondo, sostenibilità significa chiedersi come sostituire queste scelte che si sono rivelate fallimentari, con un sistema al servizio di ogni persona, unica e irripetibile.

Il secondo momento è la consapevolezza che proprio la “decrescita” sarebbe una sconfitta e l’arretramento dei 17 obiettivi stabiliti dall’Onu, mentre va incrementato l’impegno dell’uomo, il suo lavoro, il suo ingegno e la sua volontà. E tutto questo con l’uso delle tecnologie più avanzate, con la scoperta di nuove e altre tecnologie che possano permettere che Giacarta e Venezia non vadano sotto acqua. In più riciclando, con scoperte avanzate, materiali come plastica o altro per ottenere energia pulita.

Il terzo momento è costituito da una presa di coscienza mondiale che va dall’esimersi dall’inquinare i fiumi nell’Est del mondo, sino alla utilità della raccolta differenziata dei rifiuti in Occidente.

Non c’è sostenibilità senza cultura sussidiaria, senza coinvolgimento planetario dei corpi intermedi, delle comunità locali, della realtà di base per istruire i loro membri. La sostenibilità, per essere attuata, ha bisogno di un soggetto attivo, che lavori e abbia relazioni, di un uomo protagonista. Anche in questo caso occorre l’educazione dell’io perché l’utopia non rimanga tale.

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