Coronavirus: qualche domanda (senza polemica)

Di fronte alla situazione drammatica che sta vivendo il Paese è lecito porsi qualche domanda, evitando certamente le polemiche

Niente polemiche, per carità! Di fronte alla situazione drammatica che sta vivendo il Paese per l’emergenza Coronavirus, conviene, al momento, solo seguire le indicazioni della comunità scientifica e attenersi con il maggior scrupolo possibile alle regole che indicano, giorno dopo giorno o settimana dopo settimana, le autorità di vario tipo, a partire da quelle governative, del Paese. Anche se vengono prese con ritardi e discussioni spesso inquietanti.



Ripetiamo: niente polemiche, per carità! Ma è possibile almeno avere qualche chiarimento e qualche delucidazione rispetto a quello che accade e a quello che qualcuno aveva preventivato? Una prima domanda che vorremmo porre: uno Stato che ha un grande sistema sanitario, può permettersi di tagliare i bilanci per fermare una crisi finanziaria provocata da una disinvoltura irresponsabile del sistema bancario? Seguendo la dichiarazione di un grande virologo, era giusto tagliare gli stanziamenti statali per ricerche e reparti in ospedali destinati specificamente all’infettivologia?



Un grande democrazia storica come il Regno Unito, quella che si è battuta anche da sola per molto tempo contro il nazismo di Hitler, al termine di una guerra vinta aveva accumulato un debito pari al 200% del Pil. Eppure il governo di Londra, per opera del ministro laburista Aneurin Bevan, il 5 luglio 1948, in un Paese ancora devastato, varò e mise in funzione per la prima volta al mondo un sistema pubblico organizzato di distribuzione della sanità. Erano previste anche la cure dentarie.

Veniamo a periodi più vicini, quando trionfa la dottrina del libero mercato, non più sociale; quando il debito pubblico diventa un’ossessione e la domanda aggregata di John Maynard Keynes, con i suoi moltiplicatori, viene non solo dimenticata, ma addirittura demonizzata in più di un caso, sia a livello accademico sia a livello politico.



Nel passaggio tra il Novecento e l’inizio del 2000, c’è un’euforia stralunata in molti Paesi occidentali. La stralunata euforia “degli eletti e degli scemi” si blocca con la crisi del 2008. Qui ci sia concesso porre un’altra domanda e di avere una risposta su quanto ha scritto il grande sociologo Luciano Gallino in uno dei suoi ultimi libri prima di morire “Il colpo di stato di banche e governi”, con un sottotitolo impressionante “L’attacco alla democrazia in Europa”.

Gallino, un ammiratore di Adriano Olivetti, scrive nell’introduzione alle pagine 13 e 14: “Le maggiori banche europee, in stretto rapporto con quelle americane, hanno accumulato debiti colossali prima e durante la crisi, in specie per via della finanza d’ombra e del denaro che esse medesime hanno privatamente creato dal nulla o ampiamente utilizzato allo scopo di continuare a concedere montagne di crediti senza avere in bilancio i relativi fondi”.

Luciano Gallino sostiene che a questo punto i bilanci pubblici, compreso quello della Bce, sono stati prosciugati a causa delle somme spese o impegnate anzitutto per salvare le banche: 4 trilioni di euro a livello Ue nel periodo 2008-2011 di cui 2 realmente utilizzati, nonché a causa dell’accresciuto volume di sussidi di disoccupazione e similari, dovuto principalmente agli effetti della crisi. C’è un altro punto su cui Gallino insiste: in appena tre anni (2010-2012) le politiche di austerità congegnate e presentate come se fossero sicuri antidoti alla crisi, in realtà l’hanno aggravata e prolungata.

Ora, sia ben chiaro che nessuno immagina banchieri che hanno creato o “esportato” il virus, ma la sequenza di una svolta economica improntata all’esaltazione del privato e alla condanna sistematica del pubblico, seguita da una crisi risanata in modo inadeguato per i cittadini (o addirittura contro i cittadini), pone inevitabilmente un’ulteriore domanda: è stata questa crisi, nata dalla nuova finanza bancaria irragionevole, soprattutto speculativa, a creare il prosciugamento dei bilanci statali e quindi i tagli al welfare e al sistema sanitario, tanto da renderlo impreparato di fronte a storici problemi che si presentano sempre, fin dai tempi di Tucidide?

Niente polemiche, per carità! Ma non è possibile assistere, di fronte alla pandemia del coronavirus, alla cura dei decimali nel bilancio dello Stato, al rispetto dei parametri di deficit e debito di Maastricht. In Italia, in questi giorni, si è passati da una spesa, prevista per l’emergenza, di poco più di tre miliardi a sette miliardi. Poi a 10 e infine a 25. Speriamo che, dopo il saluto all’Italia, Ursula von der Leyen intervenga al più presto smentendo l’inerzia di questa Europa,

Niente polemiche, per carità! Era possibile prevedere che arrivasse un virus così aggressivo, sconosciuto, poco curabile quindi e così rapidamente contagioso? Certamente era possibile metterlo tra gli inevitabili imprevisti di una globalizzazione così ampia come quella che è avvenuta in questi ultimi anni. Se esiste la necessità di un’interpretazione storica, si può vedere che le grandi epidemie sono avvenute al seguito del progressivo processo di globalizzazione, non solo in seguito a guerre.

Ovviamente questi grandi processi di assestamento planetario vanno affrontati con la giusta cadenza, perché, come ha scritto fin da 1986 il sociologo tedesco Ulrich Beck, siamo nella “società del rischio”, la “società globale del rischio”. La metamorfosi del mondo può essere affrontata anche dalla scienza con i tempi necessari. Perché la scienza non è la verità, ma una “costante e infinita ricerca” verso la verità, come scrivevano Karl Popper e lo stesso Albert Einstein.

Nessuno poteva pensare alla cronaca di un coronavirus annunciato. Ma pensarlo, ipotizzarlo e preparasi a qualsiasi evenienza è una questione di civiltà, di difesa della civiltà.

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