Sfuggire alla paura è rinchiudersi tra le braccia di chi si ama. Un gesto naturale che viene da lontano e che nella storia dei grandi eventi e disastri è quello più riconoscibile. Le braccia di una madre, di una persona amata o anche di uno sconosciuto sono il posto in cui tirare un sospiro di sollievo da ogni timore. Un gesto che oggi rischia di portare contagio e di far del male a chi si vuol proteggere. Evitare di abbracciarsi, allontanarsi dai propri più intimi bisogni di rassicurazione è forse il più penoso dei sacrifici perché toglie alla natura ed all’istinto ciò che che ci rende meno fragili e che fa sparire per qualche secondo ogni timore. Eppure, pare, che la ragione prevalga e che tenere le distanze, per quanto pesi, sia una regola temporaneamente accettabile. Nel modo di affrontare questa crisi alcuni comportamenti si rivelano più o meno modificabili ed il tasso di adesione è certamente molto rincuorante. La stragrande maggioranza degli Italiani si sta dimostrando in grado di comprendere il momento. Una prima linea di operatori nella sanità, un pezzo di Paese che lavora per consentire a tutti di usufruire dei servizi essenziali ed in generale un rispetto generalizzato dell’ordinanza ampiamente condiviso. Un Paese che non si ferma anche restando immobile in casa.
Certo è che la percezione di quanto fosse in realtà necessario un intervento più stringente sul piano normativo, e quanto fosse necessario trasmettere l’idea della gravità della situazione senza consentire eccezioni, è stato patrimonio di tutti solo da un centro punto in poi della crisi. Nel Mezzogiorno, e non solo, hanno imperversato aperitivi e feste fino a che non è stata emanata la prima ordinanza nazionale e le regioni hanno anticipato il governo imponendo limiti anche più stringenti.
Il motivo è che la percezione reale del rischio non è simmetrica e spesso in terre con difficoltà a riconoscere la necessità di regole comuni di convivenza, già in tempi normali, appare evidente che senza una spinta forte si sarebbero percepiti i divieti come poco seri o insopportabili. Per questo l’appello dei governatori del sud, seguiti di colleghi originariamente più lassisti del nord, ha sortito l’effetto di far comprendere che se la strategia del contenimento poteva funzionare era solo se si fossero approvati provvedimenti con sanzioni specifiche forti. Appellarsi al senso comune rischiava di diventare un esercizio di stile come quando si invoca il rispetto della legalità in zone ampiamente in mano alla criminalità organizzata. Le regole, se servono, vanno accompagnate da sanzioni serie e vanno fatte rispettare.
Se la scommessa del Mezzogiorno funzionerà, almeno in parte, contenendo la curva di diffusione del virus in modo che i ricoverati siano nei limiti che il sistema sanitario è grado di supportare, lo sapremo a breve. Oltre l’auspicio che ciò vada come immaginato, dovremmo ricordare quanto sta accadendo per rammentare come questa epidemia sta interagendo nella vita sociale. Nulla è infatti più democratico di una epidemia, un termine che viene dal greco antico e che indica ciò «che è nel popolo», e nulla ci darà maggiormente chi siamo a ogni latitudine sia come collettività che come singoli. Se siamo una collettività che deve imparare a rinunciare ai propri cari, come vorrebbe Boris Johnson, o se riteniamo che ogni vita sia da difendere. Se siamo capaci o meno di dare a noi stessi delle regole per tutelare noi e gli altri o se abbiamo bisogno del Leviatano che ci spaventa per applicare anche il minimo buon senso. Sapremo se sappiamo resistere ad una prova collettiva inattesa e difficile e con quale forza ne verremo fuori.
Certo è che sul piano del metodo non potremmo più fingere di non sapere nel Mezzogiorno, in particolare, che se qualcosa ci spaventa davvero, se siamo pienamente consapevoli delle cose giuste da fare, se le norme esistono e sono chiare e se sono accompagnate da sanzioni specifiche, se i controlli funzionano, insomma, se le cose si fanno con senso e logica, il Mezzogiorno è in grado di dare una risposta ampiamente soddisfacente e condivisa ed emergono anche con maggior forza le minoranze refrattarie alle regole su cui intervenire per far si che nuocciano il meno possibile.
Lo sforzo che ci attende sul piano collettivo è forte, la prova difficile. Il Mezzogiorno non ha la solidità delle strutture del nord e vive l’attesa con ancor maggior affanno. Le misure straordinarie che si stanno adottando negli ospedali, approfittando dello sfasamento temporale nella diffusione, possono avere un impatto importante se la strategia del contenimento funzionerà. Perciò serve che la responsabilità collettiva e singola sia ai massimi livelli e che non si ceda alla tentazione di pensare che una piccola violazione in fondo non fa nulla. È la somma dei comportamenti dei singoli che conta. E quella somma di comportamenti crea o meno una reazione efficace. Se il Mezzogiorno che attende la diffusione del virus saprà dare una prova di rigida, composta adesione alle indicazioni ricevute potrà avere forse sfatato il pregiudizio di una comunità che non riesce ad adattarsi a nessuna regola.
Dovremo avere la sostanza emotiva e morale per essere capaci di reagire e coltivare, in questo periodo di grande sofferenza, la speranza di poterci a breve abbracciare. Sarà poco, ma sarà abbastanza per ripartire.