La strada giusta per uscire di nuovo all’aria aperta passa attraverso una presa di coscienza del sacrificio reale che ci si sta chiedendo. Non è solo stare in casa e reinventare il futuro delle aziende e degli Stati quando sarà, ma è soprattuto rendere omaggio a quanti in queste ore non sono riusciti ad uscire dagli ospedali e superare la malattia e quanti, accanto a loro, la vita la hanno persa o la hanno messa a rischio per curarli ed accudirli. Accettare di stare a casa è stato il primo, non difficile, passo per rispondere, pur senza in concreto far nulla, all’appello dello Stato e di chi è in prima linea.
Gli eccezionali sforzi della sanità del Nord stanno fronteggiando un nemico subdolo e potente. Nonostante la forza di reazione, siamo quasi al collasso e nel Mezzogiorno, a numeri ancora ridotti, la risposta sarà più debole, non per mancanza di abnegazione o volontà, ma perché anni di spesa dissennata prima e di mancata spesa poi hanno lasciato il sistema sanitario lontano dal soddisfare i fabbisogni ordinari, figuriamoci quelli straordinari. Per questo la segregazione sociale ci è stata chiesta come unica reazione possibile. Limitarci per curarci ed evitare di contagiarsi è l’unica strategia messa in campo.
Solo che segna il passo.
I numeri non vanno come ci si aspetterebbe e la matematica, odiata nemica di tanti, è tornata centrale nella vita di chi osserva il periodo che viviamo tra picchi, curve e derivate da cui attendiamo il vaticinio della data che libera tutti. Data ballerina, rinviata e rimeditata ormai troppe volte per essere certa. Una delle poche certezze è che la matematica con le sue regole non mente, due più due fa quattro, non come nella vita in cui spesso fa tre, a volte cinque e quasi mai quattro. E se la matematica passa dal campo della scienza del calcolo all’imponderabile della vita vuol dire che qualcosa non funziona.
Non è solo importante capire cosa, per ora, quanto invece capire come si può reagire ad una riposta inattesa, quali iniziative intraprendere. La strada che ci viene indicata è quella della perseveranza: ridurre ancor di più i contatti, inasprire le sanzioni, sino a chiedere all’esercito di limitare, di fatto, ogni movimento non indispensabile. Quasi un fideistico assalto alle pietraie del Carso, certi che solo così arriverà il punto di svolta, con gli ufficiali dietro le prime linee a minacciare di non tornare indietro, pena la fucilazione. Cadorna diede la colpa ai soldati vigliacchi e introdusse di lì a poco la decimazione punitiva per i reparti a suo giudizio meno rispettosi degli ordini ricevuti. La cosa non funzionò sul Carso, nonostante i fucili veri usati contro le proprie truppe, e ci volle un cambio di strategia e la disfatta di Caporetto per reimpostare la guerra. Così non sarà in questa guerra, ma dovremmo però pretendere che la strategia inizialmente proposta possa passare ad una diversa fase.
Il contenimento sociale rallenta la diffusione e serve a comprare tempo, ma sprecare il tempo che stiamo accumulando senza elaborare altre ipotesi può rivelarsi fatale. Se il famigerato modello Whuan non sta dando i frutti sperati, e lì pare che i fucilieri qualcosa abbiano fatto per farlo rispettare, è doveroso chiedersi se esistano strategie di contenimento che passino per la tutela delle fasce più deboli da una parte ed una normalità da riattivare quanto prima dall’altra, imponendo regole di comportamento a medio termine che consentano al Paese di riprendere lentamente la marcia, come pare invece abbia funzionato a Seul. Ipotesi che in queste ore prende giustamente forma. Insomma, serve comunicare un orizzonte concreto, seppur temporalmente dilatato, a cui puntare gli occhi per evitare che il cammino interrotto da tanti appaia come un fermo immagine perenne sul cellulare ingolfato dalla lentezza della rete.
Serve un orizzonte a cui guardare alla ripresa del cammino, per evitare che questa sosta non si trasformi in un irrimediabile blocco alla marcia e alla vita, ma in una prospettiva fatta anche di sacrifici, soprattutto di visioni nuove. Accelerando sulle infrastrutture delle rete perché assorbano il carico di dati sin da subito, imponendo da subito alla Pa di utilizzare questo fermo per divenire finalmente e realmente un servizio pubblico telematico, usando questi periodi a scartamento ridotto per avviare l’e-learning di massa, abbandonando definitivamente gli analogici anni 90. Serve preparare il terreno modificando da ora le regole che ingessano il Paese nello spendere le risorse, si deve dare avvio, con il debito concesso senza condizioni, ad uno choc fiscale brutale.
Quando Annibale propose di attraversare le Alpi al patchwork di etnie che lo seguivano in un azzardo strategico senza precedenti, per infondere forza durante la marcia descriveva le meraviglie che avrebbero trovato al di là del valico, e quando le sue truppe videro dal valico, all’orizzonte, la sterminata pianura padana si rianimarono dagli sforzi fatti, dalle perdite penose e compirono la più grande delle imprese dell’antichità. Senza un orizzonte reale e descritto, ogni sforzo appare inutile. Segregare all’infinito e forzatamente, non tanto fisicamente le persone, quanto le loro menti, non produrrà alcun successo dovuto alla perseveranza ma solo distacco e frustrazione.
Passare ad una fase nuova di questa guerra significa soprattutto immaginare nuove strategie e dare nuove prospettive. Riportare al centro la politica delle scelte e delle prospettive, supportata dalla scienza, e non affidarsi solo ai modelli matematici delle 18. Le guerre si vincono anche con la scienza, che torna centrale, ma soprattutto con la volontà e la visione del futuro che porta a programmare delle mosse, motiva le persone e le induce a seguire le indicazioni fidando in un futuro migliore.
Manca l’immagine del futuro, un interprete che sappia mettere davanti le ragioni della scienza ma assuma su di sé la narrazione della crisi e di come uscirne. Perché la scienza può non avere tutte le risposte, può indicare e suggerire, ma a guidare il Paese serve un interprete che sappia avviare da oggi i percorsi del domani e non dare solo ascolto al timore che la scienza possa non avere tutte le soluzioni. Seguire i giusti consigli perché motivati e coscienti darà a tutti nel Paese maggior forza, più di molte pattuglie dell’esercito che andrebbero rese stanziali in alcune aree del Mezzogiorno, ma poco possono se non vi è un sentimento ampiamente comune e condiviso del percorso che ci attende. Che la segregazione serva, è fuori discussione. Che non sia l’unico ingrediente per soluzione di questa enorme crisi, anche.
Oggi più che mai ci serve, in sostanza, la visione di Annibale, non solo la perseveranza di Cadorna.