Sarebbe bene che tanti piccoli e grandi esempi che riempiono le cronache di questi giorni rimanessero impressi nella memoria collettiva. Ci serviranno quando dovremo ripartire. È bene quindi ricordare la dedizione e il sacrificio del personale sanitario, che sta vivendo ogni giorno tra la vita e la morte; la risposta di 8.000 candidati al bando del governo per 300 medici da mandare in aiuto in Lombardia; l’esercito di volontari che si sta prodigando a supporto e assistenza di ogni tipo; tutti coloro che vanno avanti a lavorare in condizioni difficili, con stipendi ridotti, ferie anticipate; le enormi donazioni di imprenditori e persone comuni; gli insegnanti di scuole di ogni ordine e grado che stanno inventando di tutto per fare lezione online; le tante aziende impegnate a convertire i propri impianti per produrre mascherine o altro materiale sanitario.
Il segno di questi esempi non è solo la volontà e la generosità, ma anche la capacità. Quando dovremo ricostruire il tessuto sociale ed economico intorno a noi, sapremo che le “risorse umane” ci sono. Certamente non basteranno. Ma anche coloro che devono prendere decisioni pubbliche, quando dovranno approntare misure per risollevare il Paese, dovranno mettere in campo tutto di sé, il meglio di sé come persone. Dovranno avere una statura, una visione, una percezione della svolta epocale che ci aspetta.
Il problema è che non possiamo aspettare, ma bisogna cominciare a pensare ora alla ricostruzione. Sarà per forza di cose una fase che darà anche l’opportunità di attuare radicali cambiamenti di rotta e, a maggior ragione, le idee bisogna metterle in cantiere da subito.
Occorre subito iniziare a pianificare: quali comparti far partire per primi, ad esempio. La capacità indiscutibile di far fronte alle emergenze deve diventare capacità di programmare con criteri chiari, che rispettino i valori scelti, dichiarati lungo la nostra storia democratica e confermati nella prassi recente. Come ad esempio, l’impegno a ridurre le grandi disuguaglianze.
Andrà messo in discussione come sostenere l’occupazione e l’iniziativa dei lavoratori; con quali criteri finanziare le imprese; come ripensare alla struttura burocratica, che è strumento e non può diventare un fine; come ridare alla politica il suo ruolo, senza confonderla con la comunicazione; come ripensare al rapporto tra pubblico e privato.
Ma per fare tutto ciò sarà importante non dimenticarci di quanto, in questi giorni, lo spirito di iniziativa è stato in grado di fare. Ripartire non è tornare al punto zero, ma ricostruire l’umano, rilanciare le aggregazioni sociali.
A ogni livello, valori su cui si basa l’esperienza umana ritornano la chiave di volta dopo essere stati dimenticati. Lo ha ricordato di recente Luciano Violante sul Corriere affermando che questo virus deve spazzare via ciò che ci ha bloccato in questi anni: “il sospetto nei confronti delle classi dirigenti, la decrescita felice, la esasperata sorveglianza delle imprese da parte dei poteri pubblici… il principio che per costruire una società onesta bisogna prima distruggere l’esistente”. Invece occorre “il riconoscimento per tutti coloro che in questi mesi si stanno prodigando per gli altri… la gratitudine deve durare nel tempo anche quando questa fase sarà terminata”.
La ripresa di un’esperienza umana vera, quella di chi ha costruito le fondamenta dell’Italia repubblicana scoprendo il significato esistenziale e personale dell’altro, anche diverso, come una risorsa. La scoperta del bene comune, in una democrazia partecipata e parlamentare non è un incitamento morale, ma ciò che di più vero ci stanno mostrando questi giorni difficili. E saranno decisivi anche per trovare le migliori soluzioni operative.