Oggi. In un ospedale della Spagna o dell’Italia. Davanti alla porta che segna l’area in cui i medici combattono per salvare delle vite. Dall’altra parte le persone che amiamo, i nostri genitori. La conversazione è impossibile e se si ha fortuna c’è la possibilità di qualche breve parola grazie al telefono cellulare. Parole che possono sempre essere le ultime. Conversazioni apparentemente leggere che cercano di dire tutto. O silenzi che sembrano più forti della solitudine. Non avevamo risolto la sfida della solitudine quando ancora potevamo toccarci. Ognuno al suo posto, ora, cerca oltre le apparenze l’unità che prima si dava per scontata.



Questa straziante pandemia è, tra le altre cose, quella dei genitori, del rapporto con i genitori. È logico che venga citata più volte “La peste” di Camus. È facile riconoscersi in quel che accade a Orano, ma nella sete di voci di questi giorni forse possiamo ritrovarci maggiormente nell’ultimo romanzo dell’autore francese, “Il primo uomo”. Il protagonista, Jacques, cioè Camus, si reca alla tomba del padre che non ha conosciuto, un giovane ucciso in guerra. Il figlio, che si credeva padrone di se stesso, vede, spiega Camus, come la statua che ogni uomo finisce per erigere e forgiare con il fuoco degli anni rapidamente si incrinava, crollava. Non era sufficiente tutta la sua energia per costruirsi e conquistare o capire il mondo. Non era altro che quel cuore angosciato che sbatteva sempre con la stessa forza contro il muro che lo separava dal segreto della vita, volendo andare oltre, e sapere prima di morire, sapere finalmente per essere, una volta, un solo secondo, ma per sempre. Davanti ai genitori, visitati un’altra volta, vogliamo sapere il segreto di tutta la vita, per essere e conoscere.



Questa urgenza per i saluti, per le solitudini, per affrontare la paura è la stessa che abbiamo per l’isolamento e la ricostruzione. Si parla già di un periodo come quello postbellico. Il Consiglio europeo della scorsa settimana non sembra aver avviato il dialogo con i genitori e i nonni che furono protagonisti del Secondo dopoguerra. Nella crisi del 2008 è stato fatto l’errore di non seguire le orme degli Stati Uniti. Draghi dovette arrivare a scommettere su una politica monetaria espansiva. Alcuni errori sono stati evitati. Dopo i primi tentennamenti della Bce, è già attivo il piano di acquisto di asset da 750 miliardi di euro. Inoltre, è stata approvata anche la flessibilità del quadro fiscale. Ma il Consiglio europeo della scorsa settimana ha dimostrato fino a che punto i Paesi del nord, Germania e Paesi Bassi in particolare, non abbiano capito che – come ha affermato la ministra degli Esteri spagnola González Laya – “stiamo affrontando la cosa più vicina al momento Schuman. Come allora, oggi la chiave sono i passaggi che creano effettiva solidarietà”.



La solidarietà concreta sarebbe passata dall’accettazione dei coronabond proposti da nove paesi, in particolare Italia, Francia e Spagna. Merkel ha detto “nein” a una soluzione più necessaria che mai. Non c’è altro modo per evitare il collasso dell’economia se non un aumento del debito, sostenuto da tutti i Paesi che condividono la stessa valuta. La Cancelliera tedesca potrebbe essere all’altezza della situazione se non dovesse affrontare i fantasmi dell’opinione pubblica del suo Paese, ossessionata dalla presunta prodigalità dei paesi del sud. La soluzione dell’utilizzo del Mes sarebbe ammissibile solo se non fosse accompagnata da misure di aggiustamento fiscale. Né la Spagna, né l’Italia sono colpevoli di ciò che sta accadendo.

Siamo senza dubbio in un “momento Schuman”, anche per quel che riguarda l’isolamento. Il politico francese raccontò che i sette mesi passati in carcere, detenuto dai nazisti, erano stati un periodo molto fruttuoso: “In una cella si può pregare a proprio piacimento senza essere disturbati e se si è autorizzati ad avere libri allora si è in compagnia di spiriti selezionati” Il momento Schuman richiede un ritorno al suo metodo. Un metodo che non è solo per i leader, ma, soprattutto, per i cittadini europei: “Costruire concretamente, non astrattamente, a seconda dei bisogni che si presentano, con le risorse disponibili in quel momento (…). La libertà fa paura quando si è persa l’abitudine di utilizzarla”. Realismo pragmatico, solidarietà, interdipendenza. “Abbiamo acquisito la convinzione – basata su alcuni fatti – che le nazioni, lungi dall’essere autosufficienti, siano solidali tra loro” (…) “il vero interesse consiste nel riconoscere e accettare nella pratica l’interdipendenza di tutti”, è necessario combattere “le ristrettezze del nazionalismo politico, del protezionismo autarchico e dell’isolazionismo culturale”. Avvertimenti postbellici. Schuman, padre dell’Europa, aveva sempre presente ciò che Camus chiamava “il segreto di tutta la vita”, era sempre molto concreto, dedicò la sua vita a ricostruire.