Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (M5S), ha rilasciato un’intervista al maggior quotidiano economico nazionale. Nel titolo Patuanelli promette un pacchetto di misure di contrasto urgente all’emergenza economica portata dal coronavirus: “Ecobonus al 100%, subito Impresa 4.0 per tre anni e nuovi incentivi auto”. In sé l’ipotesi di politica industriale si profila condivisibile, anche se forse non del tutto. 



Nel testo dell’intervista il ministro insiste anzitutto a parlare di “Transizione 4.0“. Si tratta dell’ultima versione “pentastellata” dell’originario “piano Calenda”, con una netta diluizione del focus strategico sulla digitalizzazione industriale e la discutibile cancellazione di strumenti che si erano dimostrati di pronta e sicura efficacia (come il superammortamento per l’acquisto di macchine utensili innovative). Se d’altronde l’estensione dell’ecobonus può rappresentare uno stimolo classico all’edilizia – in chiave aggiornata di ecosostenibilità – l’idea di rilanciare gli incentivi all’auto qualche interrogativo lo pone. Un tempo al Governo che li varava veniva mossa l’accusa puntuale di voler favorire il più grande gruppo industriale del Paese. Oggi la Fiat non si chiama neppure più così e si sta fondendo con  Psa dopo aver già drasticamente ridotto la sua presenza in Italia: l’acquisto di quali marchi e modelli di nuova generazione verrebbe incentivato? È pur vero che nell’Azienda-Paese è ancora attiva un’importante filiera di componentistica.



È tuttavia sul piano del metodo politico che l’intervista del titolare del Mise – un raro esponente del Nord nel governo Conte-2 – sembra suscitare riserve: molte e serie. Come il suo collega di governo e di partito Luigi Di Maio (responsabile agli Esteri della politica per l’export), Patuanelli ha rotto il riserbo solo al day-12 dell’emergenza coronavirus. Entrambi hanno condiviso un silenzio quasi assoluto dell’esecutivo, uno o più passi dietro il Premier. Ambedue – come tutti gli esponenti del Governo – non hanno ritenuto di far mai visita nelle regioni trainanti dell’industria nazionale: sotto attacco di una nuova recessione non meno che da parte del rischio epidemico. Nel frattempo il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha rilanciato anche lui via intervista una prima manovra da 3,6 miliardi: lo ho fatto peraltro nella domenica di voto che lo ha visto eletto alla Camera per il Pd alle suppletive di Roma. Tutti ballon d’essai mediatici in ordine sparso: come l’incontro fra Pd e parti sociali. Perché nessun ministro ha detto finora al Premier di avere un decreto pronto da far votare al Consiglio dei ministri?



Interviste, conferenze stampa, flash d’agenzia: come anche lo stesso commissario Ue agli Affari economici, l’ex premier italiano Paolo Gentiloni (“Per l’Italia sì alla flessibilità, la Ue dovrà muoversi”: ma il “ministro dei bilanci” a Bruxelles è formalmente lui). Questo non è “governo”. L’Italia, anzi: l’Europa ha invece bisogno di governo, e subito. Ha bisogno – con l’occasione dell’emergenza-coronavirus ma non esclusivamente per questo – di un pacchetto di misure integrate di politica finanziaria, industriale e – non da ultimo – sociale. Con le centinaia di miliardi come ordine di grandezza. E (forse) con leadership nuove e più adeguate: perché non sono solo i politici italiani a rivelare in questi giorni i loro limiti, indugiando in interviste invece di governare.

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