Accanto alle dolorose notizie delle morti provocate dalla pandemia, si presenta altrettanto ossessionante la domanda su come sarà il mondo “dopo che tutto questo sarà passato”. Come sarà la nostra vita, come ci potremo muovere, come saranno la crisi e la ripresa? E, soprattutto, come saremo noi stessi dopo aver visto molto da vicino la morte e la malattia, dopo aver passato mesi in reclusione? Ha ragione Javier Marías: “Né la tristezza, né la preoccupazione, né la sofferenza, né la paura ci fanno diventare più intelligenti e neppure più modesti.” Quanto meno non automaticamente. Forse usciremo da questa situazione con un po’ più di senso etico, di sensibilità, magari con un po’ più di paura. Tuttavia, la “configurazione di base” non si trasforma automaticamente in un’estensione del modo in cui guardiamo e sentiamo ciò che c’è dall’altra parte della finestra.



“Configurazione di base” è l’espressione che lo scrittore statunitense David Foster Wallace usò nel suo memorabile discorso al Kenyon College nel 2005. Agli studenti che stavano per laurearsi, Wallace disse che “non riusciamo mai a discutere da dove vengano i nostri schemi e le nostre credenze individuali (…). Come se l’orientamento fondamentale di una persona verso il mondo e il significato della sua esperienza fossero in qualche modo intrinseci e difficilmente modificabili, come l’altezza o il numero di scarpe, o automaticamente assorbiti dal contesto culturale, come il linguaggio”. Siamo tutti d’accordo sul fatto che all’improvviso ci siamo scoperti vulnerabili. Ci costa, però, percorrere la strada dell’enigma della nostra vulnerabilità e saltiamo alla conclusione: una maggiore e migliore coscienza e/o fiducia nella vita eterna. Soluzioni assolutamente necessari, ma, intanto, la “configurazione di base” non cambia perché, come dice Wallace, “rimaniamo automaticamente sicuri di sapere cosa è la realtà e chi e che cosa sono realmente importanti” e per questo ” non vogliamo prendere in considerazione possibilità” che ci sembrano fastidiose.



Wallace spiegava che la sua configurazione di base consisteva nel considerarsi “il centro assoluto dell’universo”. Ciascuno ha la sua, però noi occidentali moderni tendiamo a concordare su alcuni elementi comuni di questa configurazione, in ciò che riguarda il male e Dio, la impossibilità della convivenza tra pienezza e sofferenza o il significato di una situazione avversa. Una crisi come l’attuale, a chi si pone la domanda, può insegnare che le configurazioni di base si possono cambiare, non siamo fatti una volta per tutte, “siamo problemi viventi”, “in un tempo senza sosta e con un’esigenza che non aspetta” (Zambrano).



L’attaccamento alla configurazione di base non è solo personale. Ne è prova l’ostinazione nell’affrontare una pandemia globale senza minimamente prendere in considerazione qualcosa che assomigli a “un Governo del mondo”. Il G7 non è riuscito a mettersi d’accordo su un comunicato congiunto ed è forse meglio ciò che ha fatto il G20, elaborando un testo in cui ci si limita a constatare che il Covid-19 è un problema serio. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non si pronuncia. Diversi centri di ricerca nel mondo cercano in tutta fretta di trovare un vaccino e questa ricerca si trasforma in un motivo in più di confronto tra Cina e Stati Uniti, senza che le istituzioni internazionali abbiano alcun peso. Si continua a pensare che la globalizzazione consistesse nel distribuire per il mondo posti in cui mangiare rapidamente all’occidentale, in una verniciatura di cultura condivisa (che irrita le culture locali mettendole sulla difensiva), con la libertà di mercato, di circolazione di persone e capitali. Non abbiamo modificato per niente, o quasi, la concezione di sovranità nazionale.

Succede la stessa cosa con il concetto di democrazia. Se la crisi del 2008 alimentò populismi e nazionalismi, è facile intuire ora, soprattutto perché la propaganda cinese si sta dimostrando efficace, la messa in discussione del nostro sistema di libertà in favore della “vigilanza ipodermica”, la moltiplicazione delle telecamere nei luoghi pubblici, il tracciamento delle persone e dei loro dati medici attraverso le potenti strutture dell’Intelligenza Artificiale. Certe forme di controllo verranno presentate come la panacea ed è probabile che in politica ritornino i vecchi “ismi”. Tuttavia, restiamo impantanati in vecchi dibattiti sulla dimensione del pubblico, pensando che una democrazia puramente formale possa rimanere in piede. La stessa cosa succede all’Ue. Questa volta abbiamo un’azione pesante della Bce e alla fine l’Eurogruppo lo scorso giovedì ha predisposto un pacchetto di liquidità di 500 miliardi di euro (per le piccole imprese, per i disoccupati e per attivare il Mes), ma i Paesi del Nord continuano a pensare che occorra fare attenzione perché quelli del Sud non hanno riformato i loro sistemi pensionistici e hanno troppo debito pubblico.

I sintomi di un cambiamento nella “configurazione di base” hanno a che vedere con il seguire in modo esauriente la pista della vulnerabilità (associata sempre al desiderio di una vita migliore), con un modo nuovo di vivere la globalizzazione e con un’economia che trasformi in giudizio critico e istituzionale l’energia sociale che abbiamo visto in queste settimane.