A proposito di riapertura, o di ripartenza, su cui si discute e si litiga. L’altro ieri facevo con tanti altri amici la “consueta” opera di carità. Pacchi alimentari, che tanti sono venuti a ritirare, per recapitarli ai bisognosi. C’erano volontari di lungo corso e ben noti, e alcuni volontari dell’ultimissima ora, prima non noti.
Tratti notevoli dell’operazione, che tanti Banchi di solidarietà e tante Caritas fanno in tutta Italia? Sì la risposta positiva. Sì la voglia di aiutare. Sì l’osservanza delle prudenti modalità organizzative. Sì tutto questo, ma soprattutto: i volti lieti. Di veterani e reclute. Una letizia umile, semplice, senza presunzione, senza protervia, senza forzature moralistiche.
Si badi che la letizia è affare con cui non si può barare. Come il coraggio: se uno non ce l’ha, mica se lo può dare. Dico una letizia nel presente, adesso. Non dopo che ne saremo venuti fuori.
Questa faccenda dei volti lieti mi ha fatto tornare in mente la lettera che un giovane universitario dell’Accademia di Brera scrisse al suo papà, che lavorava in Regione Lombardia, la mattina dopo la tragedia dell’aereo schiantatosi sul Pirellone: “Ho finalmente (credo) capito cosa significhi quella che Giussani definisce ‘l’inesorabile positività del reale’. E me l’hai fatto capire, me lo hai testimoniato tu, papà, che in tutto quel caos sei riuscito a telefonare a casa appena hai potuto per dirci che stavi bene, per poi metterti subito al lavoro, stando in piedi tutta la notte, perché più che mai c’è ‘bisogno di fare’. E me l’ha testimoniato Fiorenzo che telefona a casa e senza perdersi in formalismi, chiede dove sei perché c’è bisogno di trovarsi per riorganizzarsi. Me l’hanno testimoniato la mamma e Maria, che non sono corse ‘disperate’ a cercarti, ma hanno pregato. Insomma, papà, quello che voglio dirti è che mi hai fatto capire che davanti allo ‘sventrato’ Pirellone, l’inesorabile positività del reale non è dire: ‘Sì, ma comunque Dio esiste’. È tutt’altra cosa, è un gruppo di persone che risponde immediatamente a quello che c’è da fare. (…) Tu non lo sai, ma venerdì mattina verso le 9.30 sono venuto al Pirellone e ti ho visto insieme agli altri dietro Formigoni che rilasciava un’intervista. E le vostre facce, dopo una tragedia e una notte insonne, erano tutt’altro che stanche e tristi. Anzi. Allora io mi sono detto che nel mio piccolo rispondere alla realtà era andare a lezione in Accademia. Ed ero contento di andarci, non perché ci fosse una lezione che mi sarebbe piaciuta, questo non lo sapevo neanche. Ero contento di andarci perché c’era e la mia libertà era quella di starci di fronte”.
Quella letizia era l’energia contagiosa della ripartenza. Per ogni ripartenza occorre un salto di coscienza di sé, una presa d’atto più consapevole della realtà. Come quella di questo ragazzo che sa accorgersi di quegli sguardi lieti. La gente che lavorava in Regione ripartì subito con una positività resa più consapevole dal dolore che esaltò il senso di responsabilità per l’impresa comune.
Altre esperienze drammatiche accadute in Lombardia hanno generato, attraverso uomini seriamente impegnati con la realtà, un progresso di consapevolezza e di iniziative per il bene comune. Abbiano già citato in precedenza la nube tossica di Seveso nel 1976, a seguito della quale nacque una vera politica di prevenzione dei rischi industriali e di tutela ambientale. Nel 1987 i tragici eventi alluvionali della Valtellina diedero impulso alla prevenzione del rischio idrogeologico e alla Protezione civile nazionale. Insomma, non si fece come se nulla fosse successo e come se bastasse riportare indietro le lancette degli orologi.
Adesso con il coronavirus la questione che si pone è in parte analoga ma ancor più radicale. Riguarda la concezione dell’esistenza. Se vita è quella che si rifugia lontano dalla realtà o quella che non si esime dallo starci di fronte. Nel primo caso ripartenza sarà un triste tentativo di riposizionarci nella bolla illusoria e ovattata in cui ci sentiamo riparati dalla realtà medesimo. Nell’altro caso possiamo diventare più uomini nella testa e nel cuore. Segni particolari: la letizia. Vale per tutti, dall’ultimo poveraccio al capo del governo. È questo lo snodo decisivo della ripartenza.