Impreparazione, non conoscenza. La ragione scientifica non ha avuto tempo di comprendere appieno come si diffonde il virus, come colpisce l’uomo. Le polemiche sull’utilità della clorochina nella cura dei pazienti che hanno una reazione eccessiva del sistema immunitario si susseguono mentre si continua a usare il farmaco. Medicina a tentoni. “Facevamo medicina del XXI secolo e ora stiamo facendo medicina di guerra”, affermano i migliori dottori del mondo.



Non conoscenza. È l’espressione che Habermas ha usato pochi giorni fa intervistato da Le Monde: “Dobbiamo agire sulla consapevolezza esplicita della nostra non conoscenza”. I politici prendono decisioni dopo aver consultato i virologi privi di certezze. Anche “l’azione politica viene eseguita sommersa nell’incertezza”.



Anche la ragione che affronta questioni di significato è destinata a soccombere nel naufragio del coronavirus? Questa è una delle domande cui risponde il nuovo libro di Julián Carrón “Il risveglio dell’umano”. L’autore si era già occupato dello “stato di incertezza” causato dalla crisi del mondo illuminista sia ne “La bellezza di disarmata” (2015) che in “Dov’è Dio?” (2017).

La radice della crisi, che ora è diventata assolutamente evidente con il coronavirus, risiede nell’uomo stesso, nella sua ragione, nella sua libertà, inclusa quella di avere una ragione critica, diceva Carrón nel suo libro di cinque anni fa. Già allora era necessario chiedersi, scriveva l’autore, se la ragione su cui si regge la filosofia illuminista può legittimamente ritenere di aver raggiunto una piena consapevolezza di sé e può dire l’ultima parola sulla ragione umana.



Carrón, come tanti altri, segnalava quindi che la ragione illuminista non ha resistito alle prove della storia. In altre parole, “la cultura dominante ha messo in crisi le affermazioni antropologiche di portata universale” (Javier Prades) promosse dall’Illuminismo. In “Dov’è Dio?” lo stesso Carrón, citando De Lubac, evidenziava che tutti i tentativi di matrice illuminista conservano spesso molti valori di origine cristiana, ma dato che sono separati dalla loro fonte non sono in grado di mantenere il loro vigore.

La tremenda devastazione causata dalla pandemia e dall’isolamento ha perforato, spiega Carróm, la bolla “che ci faceva sentire sufficientemente al riparo dai colpi della vita”. Si è rivelata la fragilità strutturale della ragione, accompagnata dal sensazione di vulnerabilità. E ciò può essere, secondo l’autore, il risveglio dell’umano, l’occasione per un ampliamento della ragione, che recuperi il legame con la realtà.

In che modo uno schiaffo così intenso della realtà cruda può aiutarci ad ampliare la ragione? Camion dell’esercito sfilano con bare che non possono essere sepolte, nonni che non si possono salutare e una paura che mette a nudo la nostra impotenza essenziale, una paura che a volte ci porta alla disperazione.

La ragione ha la possibilità di espandersi perché è difficile non sentire la sua “ineffabile vibrazione” e gridare: “Perché?”. Carrón documenta in molte citazioni non di filosofi o professionisti del pensiero, ma di editorialisti di giornali italiani, spagnoli e francesi, normalmente impegnati nell’analisi dell’attualità, come è emersa questa domanda. Mai come negli ultimi anni questa domanda – “perché?” -, considerata necessariamente privata, emerge con tanta forza sui giornali, nelle code ai supermercati, nelle mail dei colleghi prima necessariamente formali e distanti.

La ragione intesa in modo razionalista, che aveva chiuso le porte alla dimensione della profondità e del significato, che aveva eliminato la domanda sul significato perché era interessata solo al “come” dei fenomeni e l’eventuale perché era è sempre relativo (come ha scritto Carrón ne “La bellezza disarmata“), ora appare con la sua vera vocazione chiedendo il significato della realtà. La non conoscenza nell’umano diventa, se possibile, più pressante della non conoscenza scientifica e politica di cui parla Habermas.

Cosa scopre la ragione legata di nuovo alla realtà e all’esperienza? Scopriamo la nostra fragilità e la nostra insignificanza (Cuartango), che implicano l’infinitezza del desiderio che ci definisce come uomini, perché non ci facciamo da noi stessi e nella profondità della nostra persona domina una dipendenza. Nel parlare della ragione che si apre, Carrón ritorna a una delle sue abituali insistenze: lo sgretolarsi delle evidenze non impedisce che il cuore dell’uomo continui a battere irriducibile. La ragione aperta non trova risposta a una desiderata e percepita positività in principi universali astratti, in un discorso rassicurante o in ricette morali, ma nell’incontrare persone in cui possiamo vedere incarnata l’esperienza di questa vittoria, di un abbraccio che permette di stare di fronte alla ferita della sofferenza del dolore, in cui si testimonia l’esistenza di un significato proporzionale alle sfide della vita.

Non è quello che abbiamo fatto istintivamente quando in questi giorni siamo tornati a guardare i medici e i volontari? La non conoscenza scientifica ci inquieta, la non conoscenza delle “viscere della realtà” ci rende intollerabili.

Carrón chiarisce che questo ampliamento della ragione nasce in lui dalla “certezza affettiva” della presenza di Cristo “che ci chiama in modo misterioso attraverso queste circostanze”. Il lettore si imbatte in un’esperienza di vittoria.