La buona notizia – per la Ue e per l’Italia – è che ieri sera i 19 ministri delle Finanze dell’Eurogruppo non hanno perso tempo in confronti sterili, ma hanno “lavorato duro”, ha detto il presidente Mario Centeno, alle prime risposte all’emergenza economica portata dal coronavirus. Hanno esaminato anzitutto il piano Sure, salvagente da 100 miliardi che verrebbe attivato direttamente da Bruxelles a beneficio di milioni di prevedibili disoccupati in tutti i Paesi membri. Non sembrano esserci opposizioni neppure all’utilizzo della Banca Europea degli Investimenti come punto di leva per raccogliere sul mercato altri 200 miliardi di euro. Nel frattempo la stessa Bce, dopo un iniziale sbandamento, è già pienamente operativa da due settimane: sia a supporto dei titoli governativi più a rischio–spread come quelli italiani; sia a rifinanziamento dei sistemi bancari in piani-liquidità come quello delineato lunedì sera dal secondo decreto “cura Italia”.
L’altra notizia – al momento né buona né cattiva per l’Italia – è che il cantiere ostico e divisivo del finanziamento diretto dell’“euro-piano Marshall” post-pandemia è rimasto aperto in videoconferenza fino a notte fonda: tanto che la comunicazione finale è stata rinviata a stamattina. In tarda serata un’ipotesi definita di compromesso non era ancora stata trovata: e l’ultima parola sarà comunque lasciata ai capi di Stato e di governo che torneranno a riunirsi prevedibilmente a cavallo di Pasqua. Le trattative serrate, all’interno dell’Eurogruppo sembrano però aver disegnato un perimetro: benché non sia affatto certo che riesca a contenere fino in fondo le tensioni e le spinte centrifughe ancora forti fra Sud e Nord dell’eurozona.
La cornice coinvolge sulla carta sia il Mes – il fondo salva-Stati già esistente con di 410 miliardi di dotazione – sia un nuovo fondo ad hoc per la recovery post–epidemia in Europa. Il veicolo – proposto dalla Francia e sostenuto da almeno 12 Paesi dell’eurozona, Italia compresa – potrebbe funzionare da collettore di vari impegni di risorse: anche eventualmente messe a disposizione dal Mes, con parziali linee di credito. Da un lato l’esposizione del Mes sarebbe limitata e questo tenderebbe a ridurre la preoccupazione dei Paesi del Nord e rendere nel contempo “leggere” e indirette le “condizionalità” imposte ai beneficiari sul fronte della sovranità finanziaria. Sull’altro versante il nuovo “fondo di solidarietà e ricostruzione” potrebbe emettere titoli di debito che sarebbero sostanzialmente eurobond di scopo – caldeggiati da Roma ma soprattutto da Parigi – ma non avrebbero la forma legale, senza quindi mettere alla prova Berlino, Amsterdam e i loro alleati.
La difficile quadratura tecnica del cerchio sulla ricostruzione economica resta tuttavia più che mai connessa con gli sforzi di ricostruzione politico-istituzionale dell’Europa. Negli ultimi giorni l’Italia è stata in prima linea nel rivendicare la solidarietà come pilastro della civiltà europea fondata sul Trattato di Roma del 1957. Le resistenze da parte dei Paesi del Nord – anzitutto dell’Olanda – sono rimaste invece imperniate su quest’argomento: neppure un’emergenza epocale come quella portata dal coronavirus può abbuonare gli squilibri finanziari accumulati negli anni dei Paesi meno virtuosi.
Solidarietà reale – anche al di là delle cifre direttamente create dall’epidemia – contro impegno reale a rimettere in ordine i conti a medio termine, a cominciare dal debito: sono questi i termini elementari del compromesso che l’Italia (peraltro non da sola) e la Ue sono chiamate a raggiungere, nell’interesse reciproco. Questo sarà compito, nei prossimi giorni, del premier Conte e dei suoi ministri. Poi sarà la volta delle forze politiche in Parlamento: che avranno l’opportunità di “riaprire” le Camere con una responsabilità di decisione di massimo livello.