Il Mezzogiorno riapre: ma serve una svolta

Lunedì anche il Mezzogiorno riparte, tra lavoro nero, povertà precarietà, rassegnazione. Va subito rilanciato il Piano per il Sud presentato a febbraio

I delfini che hanno popolato i porti sgombri del Mezzogiorno si preparano, a loro insaputa, a ritornare nelle profonde acque al largo delle coste e dalle foci dei fiumi che a breve torneranno a colorarsi di sfumature grigio-marroni, sintomo che almeno parte delle aziende avrà ripreso le attività. Le strade da vuote riprenderanno a riempirsi, con calma, di furgoni ed utilitarie con alla guida individui mascherati che cercheranno di capire, nei tragitti verso il lavoro (per chi lo ha), se le giornate che hanno lasciato ai primi di marzo saranno almeno simili a quelle che ritrovano. Molta parte delle cose che il Mezzogiorno ha lasciato le ritroverà purtroppo intatte. Un contesto sociale provato e ancor più affamato ed uno smarrimento anarcoide, in cui chi saprà muoversi in autonomia e con buona sorte, forse, troverà la strada per riemergere.



Nessuna idea di cosa fare nel Mezzogiorno dopo questo lockdown è venuta fuori in maniera concreta da istituzioni, enti o leader. Tornare a uscire di casa e dedicarsi al lavoro sarebbe già un motivo sufficiente per gioire, ma molta parte del Mezzogiorno, che il lavoro non lo conosceva,  ha in questi mesi esaurito ogni possibile mediazione con il futuro. Gia prima del lockdown molta parte della società era disposta a tollerare lavori in nero intermittenti o duplicati di lavori veri pur di offrire un micro-reddito a chi viveva di mance ai semafori, di estorsioni sulle auto parcheggiate, di filiere sommerse di produzione per evitare che in troppi si dessero disperati a ben altre attività. Una finta pace sociale tra pezzi di popolazione, sempre sull’orlo della tragedia.



Le regole, lontane sirene a cui resistere, non hanno mai attecchito. L’illegalità  diffusa nelle micro-imprese, il commercio illecito, la criminalità organizzata si sono affermate per la loro indubbia efficienza nel dare una risposta concreta alle esigenza di vita, fregandosene delle regole. Usciti dalle case strette, in tanti proveranno per abitudine e per assenza di alternative a replicare questi comportamenti. Con l’emigrazione bloccata, lo Stato in affanno e la penuria di liquidità si faranno più aggressive le richieste, più numerose le macchinazioni e più giustificati, purtroppo, i comportamenti.



Gli strumenti messi in campo dal Governo sono ampiamente insufficienti perché presuppongono un sostegno temporaneo a chi si è ritrovato fermo per qualche mese e che potrà ricominciare pian piano a lavorare. Ma molti, esauriti i sussidi temporanei, spesi gli euro del reddito di emergenza non ci staranno a vivere con qualche centinaio di euro al mese. La massa di denaro che ci apprestiamo a spendere per tenere in vita le famiglie rischia di essere del tutto insufficiente. Si doveva dare e si è data una boccata di ossigeno ai cittadini tutti, regolari o meno, ma tutto ciò non basterà. Molti sono gli esclusi dagli strumenti previsti, molti non riusciranno, con aiuti ridotti nel tempo, a riemergere ed a costruire un nuovo percorso.

Più volte si è sollecitato per il Mezzogiorno uno shock positivo fatto di interventi sul fisco e sugli investimenti in infrastrutture e sulla necessità di cercare dei grandi aggregatori di servizi promossi dallo Stato evitando di creare un parassitismo fatto di mance diffuse. Aprire un nuovo corso si poteva e si doveva già negli anni addietro e la politica, presa da altro, ha girato la faccia. Mentre a febbraio 2020 si annunciava il primo piano per il Sud il Covid ha sbarrato la strada ad ogni riflessione e si è dovuto combattere per tenere nel Mezzogiorno i fondi europei non spesi e mantenere la regola del 34% degli investimenti. Una linea di resistenza che per ora, pare, abbia funzionato e che però va declinata in positivo rilanciando.

Molti hanno sollecitato un intervento sistematico nel Mezzogiorno con investimenti nelle infrastrutture, passando per il vero lancio delle Zes (le famigerate Zone economiche speciali), avviando politiche che guardassero alle eccellenze territoriali per una vera rivoluzione tecnologica. E tanti lo hanno fatto per il timore che detonasse la bomba della disgregazione sociale, la cui miccia era già accesa, e che il periodo che arriva, con la riapertura senza progetto ed idee valide a tutt’oggi, rischia di far esplodere.

Serve un nuovo modo di pensare e di agire e proporlo, avviarlo e metterlo in opera spetta a tutti perché, soprattutto, non ce la farà il Mezzogiorno se lunedì mattina troverà le stesse idee, le stesse indifferenze, lo stesso contesto, la stessa melma che, assieme ai delfini, allontanerà la speranza di una svolta e di un futuro diverso. E la responsabilità sarà nitida stavolta in capo a chi, dovendo, non ha agito.

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