Cent’anni fa come oggi è nato Karol Wojtyła, dal 1978 al 2005 papa Giovanni Paolo II. Non è che si possa a cuor leggero fare la graduatoria del valore storico dei papi, tuttavia sarei tentato di metterlo in vetta alla classifica degli ultimi non so quanti secoli. Diciamo che il titolo del libro di Domenico Del Rio, all’epoca vaticanista del quotidiano la Repubblica, è la migliore sintesi: Karol il Grande.
Come dire un Carlo Magno, però non imperatore ma papa. Non le armi della politica, innanzitutto, ma quelle della fede, per risanare la divisione del mondo che aveva nella divisione dell’Europa, dalle antiche rinnegate radici cristiane, la sua causa efficiente. Rimettere Cristo Redentore al suo posto, cioè “al centro del cosmo e della storia”, e per ciò stesso liberare l’uomo dalle catene schiavizzanti dell’ideologia. Cominciando da quella comunista, la peggiore all’epoca. Nel vecchio mondo, natia Polonia, la liberazione degli uomini del lavoro dalla dittatura del proletariato. Nel nuovo mondo, America latina, la liberazione dei movimenti popolari e della teologia della liberazione dal marxismo. Dal primo filone discende il primo successore, Ratzinger, papa col nome del patrone d’Europa Benedetto. Dal secondo discende Bergoglio. Messa in politica, la prima fase è anticomunista, la seconda anticapitalista. Sicché dapprima si ebbe l’ostilità dei comunisti e dei catto-comunisti, e poi quella dei capitalisti e dei catto-conservatori. Anche all’interno della Chiesa, anche di quella italiana, fondamentalmente improntata all’epoca a un dualismo tra pratica religiosa della comunità cristiana in house e pratica sociale e politica delegata agli esperti della mediazione tra Dc e sinistra.
Per neutralizzarlo qualcuno armò la mano di Alì Agca; più semplicemente altri, nella cattolicità anche italiana, usavano il refrain del “papa polacco”, per dire uno estraneo e inadeguato alle “raffinatezze” italiane fatte di malcelato potere clericale dentro e attraverso la Dc in combutta con le sinistre, cedendo la presenza sociale in cambio dei posti di potere in Università, Rai, Iri, ecc.
Questo qui era il quadro geopolitico, che doveva neutralizzare la simpatia umana del popolo per il papa polacco. Sì perché quello era un uomo, si vedeva che era un uomo. Da giovane ha fatto teatro, ha avuto un amore, ha provato il lavoro (esperienza rara assai nel clero), e lavoro duro, a spaccar pietre nelle cave; era filosofo capace di un pensiero originale che faceva dialogare il tomismo della tradizione cristiana con la fenomenologia e l’esistenzialismo (non tanto diverso da don Luigi Giussani); era poeta; si seppe che nuotava in piscina; si videro foto di lui vescovo in calzoncini corti in montagna con i suoi amici. Perfetto anche se non voluto il meccanismo di identificazione da parte della gente, di tanta gente, con la sua immagine. Stiamo a una celebre convincente definizione di don Giussani: “Il santo è un uomo”. Se ne era subito accorto il quotidiano francese dell’intellighenzia di sinistra Le monde, che propose un corsivo dal titolo Duas habet et bene pendentes, che per pudore lascio intendere ai curiosi o a chi sa di latino.
Al di là dell’affezione popolare, molti respinsero Wojtyła. Chi per ostilità interessata, chi per incapacità di comprendere. Questi ultimi non necessariamente malintenzionati. Tra i critici di Giovanni Paolo II certamente il succitato Del Rio. Che frequentavo a Roma, con altri della sala stampa vaticana, per trascorsi motivi professionali. L’uomo era romagnolo, sanguigno; ci prendemmo in simpatia nonostante la differenza di età ed idee. Era un francescano ridotto allo stato laicale, sposato e con una bella famiglia. Non amava Karol il Grande visto come Carlo Magno, l’uomo della riscossa della civiltà cristiana. In questo, era come tantissimi di quelli che contavano. Accadde che il Papa si ammalò, e la sua straordinaria presenza fisica da quella di un indomito apparve quella di un inerme. Apparve vistosamente la ferita di questa debolezza in un viaggio in Africa. Mimmo Del Rio per la prima volta, a mia memoria, parlò con affetto del papa. Nell’accadimento della ferita aveva intuito l’intimo, il centro: Cristo. Totus tuus. Ricordo che andai a trovarlo e ne parlammo con maggiore affezione anche tra noi.
Non avrebbe tanto senso ricordare tutto ciò, se non per una riflessione su come cambia la conoscenza di una cosa o di una persona, a seconda che si risolva nel collocarla nell’“universale astratto”, il casellario generale che ho già in mente (uomo, animale, cosa, destra, sinistra, conservatore, progressista, buono, cattivo, ecc.) o che invece ci faccia riconsiderare tutto a partire dall’accadimento, normalmente imprevisto. Attraverso il quale – la ferita, la debolezza, la dolcezza flebile del pontefice vecchio e malato – cambia il modo di guardare un pontificato storico e si disvela la sua intima profonda ragione.
Luigi Accattoli, collega vaticanista del Corriere, racconta l’ultima visita all’amico Del Rio prossimo alla morte. “Vuoi dire qualcosa a qualcuno?”. “Al papa! Vorrei far sapere al papa che lo ringrazio, che lo ringrazio, con umiltà, per l’aiuto che mi ha dato a credere. Io avevo tanti dubbi e tanta difficoltà a credere. Mi è stata di aiuto la forza della sua fede. Vedendo che credeva con tanta forza, allora anch’io un poco mi facevo forza”. “È legato a qualche episodio o parola del papa, questo aiuto?”. “Quando si mette in Dio e si vede che questo mettersi in Dio lo salva da tutto”.”E così quei dubbi li hai superati?”. “Non li ho superati, ma non li ho più considerati. È come se li avessi messi in un sacco e li avessi lasciati mettendomi in Dio, come ho imparato a fare dal papa. Di questo lo ringrazio. Da nessuno mi è venuto tanto aiuto come dalla sua fede”.