La scommessa mediatica andata in onda en plain air a rete unificate la scorsa settimana dal cortile di Palazzo Chigi risponde alla logica dell’immaginifico elettorale che ha consentito alle forze politiche che oggi godono del consenso di tanti italiani di raggiungere nell’ultimo decennio il cuore del Paese. La narrazione del noTAV, noTAP, noVax, noEuro, no a ciò che non capisco, ha costruito una maggioranza parlamentare piena di onirici propositi che si sono composti prima nei colori del gialloverde e poi del giallorosso. Ma anche fuori dalla maggioranza la narrazione del sogno, del mito impossibile che sfarina le certezze, ha vinto la battaglia con la riflessione concreta. Non c’è proposta che non sia del tutto asistemica e geniale che non venga rimbalzata con uno slogan e che sia utile a creare consenso fondandosi sulle poche conoscenze e le grandi paure che alimentano la nuova modernità post social. 



A questa narrazione serve un mito, un moloch da venerare, per poter essere identificabile. Serve qualcosa di profondamente lontano dalla quotidianità ma che sia evocativo. Un ponte, ad esempio.

Non quello che in un anno è sorto a Genova, ridando un minimo di credibilità al Paese, ma quello tecnicamente irrealizzabile, allo stato delle conoscenze, sullo stretto di Messina. Serve un ponte dei sogni per creare un benchmark nella testa degli elettori e distrarli dai campi pieni di immigrati ancora irregolari che raccolgono gli ortaggi, per non parlare della disoccupazione del Mezzogiorno, per non dare risposte ad imprese piccole e grandi che guardano alla fine della Cassa integrazione, gentilmente concessa in deroga, come ad un incubo.



Il Ponte sullo stretto non è un bene o o un male in sé. Se serve o meno sarebbe tema da esperti dei trasporti, ma è pessimo sintomo rievocarlo quando si parla di Mezzogiorno. Significa non aver alcuna voglia di mettere le mani nella melma normativa che blocca il Paese e rende asfittica l’economia del Sud, non avere voglia di dedicarsi seriamente ai cittadini delle Regioni del Mezzogiorno e sbandierare il tema del sogno divisivo, del dibattito infinito, ascrivendosi alla lista delle “nuove proposte” della politica sbandierando sogni che, giura chi li proclama, basta poco a renderli realtà.



Cemento e acciaio sono un ottimo investimento quando l’economia stagna, ma sono un pezzo, forse il meno utile, quando si inventa un cantiere infinto per sostenere l’economia, perché di cantieri ce ne è bisogno ma che siano utili e anche chiusi in fretta. Ma ridurre il tema dello sviluppo del Sud ad un tratto di asfalto tra Scilla e Cariddi non è accettabile. Non lo è ora, nella fase in cui il Paese annaspa e fatica a ritrovarsi, e non lo è per il Sud prima che siano almeno avviati dei percorsi di crescita che possano rimettere il Pil in moto. Correndo in soccorso di tutte le aree depresse che si candidano, senza iniziative concrete, a scivolare verso l’illegalità di sostentamento come migliore delle ipotesi o a trasformarsi in bomba sociale ingestibile, nella peggiore. 

Cadere nella tentazione di riesumare il Ponte è quindi un passaggio fatale che farà la fine delle promesse non mantenute di smantellare la Tav, di bloccare i gasdotti, di ristampare la lira, di abolire la povertà, di rendere tutti sani senza i vaccini per il morbillo. Meravigliose narrazioni evocative di mondi avulsi dalla scienza e che si sono infrante in modo evidente quando la concretezza delle Storia ha obbligato i narratori ad assumere le prove concrete che li attendevano.

Purtroppo poco cambierà a breve, la cultura del sogno impossibile funziona e molti la sposano con cinismo del tutto lecito. Come gli arancioni nuovi, che sognano di 5G che condiziona le menti e di virus inesistenti, per i quali sarebbe utile applicare il metodo sperimentale e fargli verificare di persona se esiste o meno. 

Abbiamo davanti mesi difficili che si comporranno di crisi sociale e di ambizioni personali che verrano coltivate al suono di immaginifiche e progressive sorti affidate ai simboli sui si scommettere, ma non potremo, alla fine, che fare i conti con la realtà, che dovrebbe aver insegnato al Paese a diffidare dell’immaginifico.

Perciò andrebbe convitata la concretezza che pure a volte non manca. Come l’ipotesi avanzata da Provenzano di fare una cosa semplice e onesta, applicare al Mezzogiorno le stesse regole fiscali che altre aree depresse dell’Europa utilizzano. Ovvero dimezzare le imposte sulle persone fisiche e giuridiche. Nulla di fantastico, niente nastri tricolori alla prima pietra, niente dibattiti sul futuro conditi da video 3d ma un bel provvedimento, semplice e chiaro, che riconosca a chi vive ed opera in un’area difficile, complessa, sempre ai limiti del baratro, un vantaggio e a chi ha il coraggio la forza e la capacità di investirci. 

Avrebbe un effetto davvero esplosivo, e perciò alcuni contestano già Provenzano, ma rischia di non alimentare i sogni. Ma un cosa è certa, creerebbe più  posti di lavoro e crescita del Pil della prima pietra da posare en plein air a favor di telecamera, il sogno che qualcuno vorrebbe che facessimo prima che l’alba della razionalità ci faccia riaprire gli occhi. 

Scommettiamo?

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