Ancora una volta il governo sceglie di affidarsi ad una bozza anonima per aprire il dibattito sul tema cruciale della “semplificazione”. Metodo assai strano ed ormai diventato stucchevole. Anche perché se durante i mesi difficili del lockdown questo metodo veniva accettato per l’oggettiva difficoltà nel fare le cose di fretta, ora che stiamo tornando rapidamente alla normalità le proposte del governo potrebbero essere costruite con maggiore serietà e seguendo un percorso più lineare.
Gettare il sasso per poi nascondere la mano? Dire di voler fare una cosa per ottenere l’esatto contrario? Chi può dirlo. Certo è che ad esempio la firma (nascosta) che si legge sotto la bozza di decreto circolata l’altro ieri assomiglia molto proprio a quella di chi dovrebbe essere tra i principali destinatari del provvedimento, e cioè la burocrazia ben annidata al comando dei ministeri.
Eppure – bisogna ammetterlo – veniamo da un periodo intenso di ascolto da parte del governo. La commissione Colao, ad esempio, ha avanzato proposte precise sul tema della sburocratizzazione del sistema e ha fatto uno sforzo serio per indicare cosa fare e come. Durante gli stessi Stati generali il premier ed il suo governo hanno potuto registrare un coro pressoché unanime a favore di una rapida e corposa semplificazione e per la velocizzazione del nostro sistema di spesa pubblica.
Nella bozza sono contenute cose attese da anni e provvedimenti che richiedevano da tempo una più chiara definizione. Eppure la sensazione – stiamo parlando sempre di una bozza resa pubblica “informalmente” – è che in realtà si voglia fare davvero poco. Insomma è come se ci fosse qualcuno che deliberatamente spinge per alzare la tensione, indugia su questioni indigeribili, con l’obiettivo recondito di far saltare il banco.
Insomma, fuori da ogni metafora, basta far apparire tra le righe lo spettro di un nuovo condono, ipotizzare un cedimento sui controlli negli appalti, strizzare l’occhiolino al partito anti-giudici che vuole ad ogni costo eliminare l’abuso d’ufficio et voilà, il gioco è fatto: su uno dei pochi temi su cui il paese è unanime in poche ore improvvisamente nessuno è più d’accordo con nessuno.
Qualche esempio? Partiamo dal famigerato tema del condono. Ma veramente in questo paese, e soprattutto al Sud dove l’abusivismo è dilagato e ha deturpato le aree più belle delle nostre coste, crediamo che il pericolo sia un nuovo condono?
Il problema vero è che ancora non ha ricevuto risposta chi ha chiesto il condono nel 1983 e poi negli anni a seguire. Tonnellate di scartoffie polverose che non si sa più neanche se siano conservate in qualche ufficio. Un impasse che ha generato per anni il blocco dell’edilizia, delle imprese, del settore immobiliare. Per questa ragione si blocca la compravendita di una casa su due, sono migliaia i capannoni industriali in cui l’imprenditore vorrebbe crescere ma non può investire neanche un centesimo, ovunque troviamo ruderi abbandonati. Sempre al Sud decine di migliaia di investimenti sono bloccati perché nel frattempo sono scadute le autorizzazioni, che vengono concesse una dopo l’altra e quando finalmente arriva l’ultima, la prima non è più valida e l’investitore deve ricominciare tutto daccapo.
Proprio ieri l’erede di uno dei più strenui e battaglieri imprenditori italiani, la figlia di Caprotti, il fondatore di Esselunga, ha detto con chiarezza: “vedo troppa burocrazia per chi fa impresa, occorre maggiore collaborazione tra pubblico e privato”. Ma la semplificazione non è una continua operazione di deroghe concesse e poi tolte. Di possibilità annunciate e poi rese impossibili nella pratica. Di cambiamenti epocali che scadono dopo 12 mesi. Non servono scorciatoie, ma riforme.
È stato calcolato che in Italia occorrono 9 anni per avviare un opera pubblica, 12 nel Mezzogiorno, un tempo biblico. Con quale spirito ci apprestiamo a definire le linee guide per utilizzare la grande quantità di fondi messi a disposizione dall’Europa? Se pensiamo alla striminzita capacità di spesa della pubblica amministrazione ordinaria non andremo molto lontano.
La semplificazione dunque non può essere che l’altra faccia di una seria riforma della pubblica amministrazione. Avere come obiettivo quello di ridurre drasticamente i tempi delle decisioni è giusto ma è possibile solo se la pubblica amministrazione è obbligata a fornire risposte in tempi certi. Nello stesso tempo bisogna poter premiare chi lavora per realizzare gli obiettivi e non si limita a mettere a posto le carte. Senza contare il dissanguamento di personale subìto in questi anni e l’urgente bisogno di immettere migliaia di giovani capaci, desiderosi di fare qualcosa di utile per il loro Paese, insomma linfa nuova portatrice possibilmente di idee nuove.