Fellini, il Papa e il lavoro

“C’è sempre stata un’amicizia tra la Chiesa e il lavoro, a partire da Gesù lavoratore” ha detto papa Francesco. Lo racconta la storia di una statua

Nella scena iniziale della Dolce Vita di Fellini si vede un elicottero che sorvola Roma portando una grande statua di Cristo con le braccia aperte. È una scena indimenticabile, grazie alla quale il genio di Fellini riesce ad intercettare tutto, dal permanere della devozione nel gesto dei muratori, “naturaliter” cristiani, all’affermarsi di una generale distrazione (non ostilità) incarnata nell’atteggiamento del protagonista, Marcello Mastroianni. Nel corso del volo sopra la periferia romana in direzione di San Pietro, ad un certo punto Fellini filma l’ombra della statua Cristo in volo che si stampa sul muro chiaro e infinito di un palazzone: dettaglio che riempie ancor oggi di struggimento.



Ebbene quel volo non è frutto dell’invenzione di Fellini. Perché il grande regista aveva fatto memoria di un fatto realmente accaduto quattro anni prima, sempre nei cieli Roma. Era il 1° maggio 1956 e una statua di Cristo aveva sorvolato la città da Ciampino in direzione di san Pietro. Non era però un Salvatore, ma un Cristo Lavoratore.



La vicenda è stata ricostruita nell’ultimo numero della Civiltà Cattolica da padre Antonio Spadaro, che è direttore della rivista e da Simone Sereni. Quell’anno si festeggiava per la prima volta la festa di San Giuseppe artigiano, istituita da Pio XII. È il “primo maggio cristiano”, che il papa aveva voluto in occasione dei 10 anni dalla fondazione delle Acli. In realtà le Acli avevano auspicato che la festa fosse consacrata a “Gesù lavoratore”, Pacelli aveva dovuto desistere per l’ostilità del Santo Uffizio, che giudicava l’ipotesi troppo “classista”. In occasione di quel 1° maggio 1956 i militanti dell’organizzazione dei lavoratori cristiani avevano riempito piazza Duomo e l’allora cardinal Montini aveva benedetto una statua del “Gesù divino lavoratore” in bronzo dorato, realizzata da Enrico Nell Breuning. La sorpresa fu in quello che seguì: la statua venne portata a Linate, da qui arrivò a Ciampino. E da Ciampino un elicottero la prese per portarla in volo a San Pietro, accolta da Pio XII affacciato alla finestra. Il giorno dopo in udienza papa Pacelli, incalzato dai militanti aclisti, dovette cedere. Il Sant’Uffizio aveva precisato che Gesù lavoratore potesse essere rappresentato solo in scene con tutta la Sacra Famiglia. Pacelli invece accettò la statua precisando la dizione: “Gesù Divino Lavoratore”.



Di quella statua, che abitualmente è sistemata all’ingresso della sede delle Acli, si è tornato a parlare quest’anno perché è comparsa alle spalle del Papa durante le messe mattutine di Santa Marta, proprio nei giorni intorno al 1° maggio. E lo stesso Francesco ha voluto intitolare a Gesù Divino Lavoratore il fondo che la diocesi di Roma ha istituito per aiutare le famiglie in difficoltà lavorativa in conseguenza del coronavirus. “C’è sempre stata un’amicizia tra la Chiesa e il lavoro, a partire da Gesù lavoratore. Dove c’è un lavoratore, lì c’è l’interesse e lo sguardo d’amore del Signore e della Chiesa”, aveva detto Francesco in occasione dell’incontro con il mondo del lavoro nel maggio 2017.

In un momento denso di incertezze come quello che stiamo vivendo, poter contare sulla semplicità di un’amicizia di un Dio che è Onnipotente ed insieme operaio (come recita un’orazione popolare) è qualcosa che consola e fa sperare.

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