La meteorologia moderna ci ha spiegato che il cambiamento climatico ha generato situazioni estreme e difficilmente prevedibili. Nel giro di pochi minuti una giornata afosa può essere sconvolta da piogge torrenziali che si abbattono senza preavviso e devastano ogni cosa nelle città progettate per reggere un flusso stagionale di acque meteoriche e canonicamente legato alle stagioni che si inseguono. Alcuni architetti hanno proposto di rivedere l’urbanistica e progettare delle vie nuove a forma di invaso che possano smaltire la piena quando arriva. Di certo i sindaci avveduti ne prenderanno atto e si attiveranno, gli altri continueranno a guardare il cielo sperando che nulla accada.
In queste ore una massa di aria incandescente sta prendendo forma su Bruxelles ed a breve i grumi temporaleschi scaricheranno sul nostro Paese tutta la furia degli elementi. Ormai è chiaro che qualunque sia l’esito della trattativa, ci verrà chiesto qualcosa. E stavolta non avremo molto tempo per adeguarci. Molta parte del Paese spera che la magia di Zemeckis ci regali un ritorno al futuro a costo zero. Che le città si riempiano da sole e che si possano riprendere le solite lamentazioni nostrane nel mentre ci si cura degli affari propri. Ma le cose non andranno a posto da sole.
Il Mezzogiorno troverà a settembre due certezze. La prima che avere un posto nel pubblico è sempre un buon affare, visto che il 27 i bonifici arrivano senza ritardo, e che il tessuto produttivo residuo dovrà cavarsela da solo. Nel Nord produttivo i forti e flessibili sopravviveranno, ma pezzi dell’economia dovranno reinventarsi. Il Paese, nella sua interezza, pur conscio delle difficoltà imminenti, fatica a trovare la forza per cambiare passo. E non è solo il Governo a vivere questa incertezza.
Non ci riescono i sindacati che, dopo l’iniziale attivismo sui temi sanitari e l’estromissione dalle procedure per la cassa integrazione causa Covid, non sono in grado di offrire una visione moderna del lavoro. Da un lato ancora difendono il modello basato sul costo orario ed avversano, soprattuto nel pubblico, ogni forma di controllo e verifica del telelavoro. Sulle grandi crisi restano sullo sfondo, intimoriti ed incapaci di dare forma e contenuto a proposte originali e giocano una melina difensiva. Quando si esprimono, contestano la didattica a distanza e ventilano l’ipotesi che alla ripresa di settembre l’avvio possa essere ostacolato non dai docenti. Un segnale pericoloso, che testimonia che non si è presta coscienza di ciò che sta accadendo.
Così come appare del tutto incoerente il tentativo di alcune università del Mezzogiorno di fare dumping sulle rette per attirare iscritti, come se l’università fosse un prodotto da discount. Un ulteriore esempio di smarrimento e di impreparazione che tenta di risolvere un problema reale (il calo degli scritti) con una misura dannosa, perché slegata da ogni piano concreto di attrazione dei giovani, ed ampiamente velleitaria. Qualche euro in meno dalla retta annua non sposteranno nulla.
La tempesta in arrivo non farà sconti e quelle riforme che avremmo potuto e dovuto fare, anche in questi mesi, per rendere il Paese più moderno ed efficiente e capace di cogliere anche nella crisi delle opportunità, ci verrano imposte senza discernimento e senza riflessione. La società tutta sta trattenendo il fiato, ogni mossa è rimandata e rinviata sperando che il grumo di incertezza si sciolga da solo.
Il Paese e il Mezzogiorno hanno avuto tempo sufficiente per mettersi in riga e darsi una visione, ma non lo stiamo usando ed anzi tutto sembra ricondotto ad un riflesso gattopardesco e furbesco, un far finta di cambiare senza volerlo per davvero, una fideistica attesa che si avveri il motto che tanto alla fine resta tutto uguale. Come le stagioni che si seguono e le pioggerelle di autunno disegnate sui libri dei bambini, tutto uguale. Finché non arriverà da Bruxelles una bomba d’acqua che spazza via ogni cosa e ci ricorda che qualcosa è cambiato per davvero. Ora tocca noi, decidere se vogliamo un’amministrazione pubblica efficiente e controllabile, se vogliamo ricostruire il rapporto tra imprese e lavoratori basandolo sui diritti ed anche sui risultati che dal lavoro vengono, se vogliamo nel Mezzogiorno invertire la rotta e abbandonare l’assistenzialismo piagnucoloso per avviare una stagione di investimenti.
Cambiare costa fatica, i tempi stanno cambiando. O ce ne accorgiamo in fretta, o non ci resta che guardare il cielo, pregando che non piova.