Per capire la frittata che ha fatto la viceministra all’Economia, Laura Castelli, lasciate stare i Vissani e i Cracco e andate dalla Celestina. La Castelli ha detto che se i ristoratori sono in crisi per via del Covid-19, beh, possono cambiare mestiere. Vissani e Cracco lo sanno tutti chi sono, perché cucinano più in tv che ai fornelli. La Celestina, all’anagrafe Rossetti Celesta, di anni un bel tot, è titolare della Pizzeria Bar Sport di Vailate, paesino agricolo in provincia di Cremona, a pochi chilometri dal santuario mariano di Caravaggio. Combinazione ci sono stato venerdì sera. Ai tempi era un posticino piccolo, adesso si è ingrandito a forza di lavoro, ospitalità e qualità. Decenni e decenni di lavoro, ospitalità, qualità. E innovazione, per forza. Ci stai bene, mangi da dio e spendi poco. Ma non solo questo: Vailate sarebbe un paese morto e dimenticato senza la Celestina.
Suggerirei a tutte le giovani viceministre specie dell’Economia di passare una serata in pizzeria dalla Celestina, insieme ai loro portaborse, ai guru della comunicazione e ai docenti-consulenti (ricordandosi di tenere lo scontrino), prima di accettare l’incarico. Sarebbe una buona scuola per comprendere il valore dell’impresa familiare in termini di saperi trasmessi, abilità, competenza, socialità, lavoro, avviamento al lavoro dei giovani. Così ci penserebbe un po’, la viceministra, ne sono convinto, prima di spedire la Celestina da un qualche navigator di Di Maio, e a fare domanda intanto per il reddito di cittadinanza).
Potremmo finirla qui. In pizzeria. Ma la viceministra ha voluto spiegarci che lei voleva fare un esempio, non attaccare i ristoratori; cioè ha voluto spiegarci le sue idee senza farcele capire, confermando la saggezza veneta che da secoli sa essere il tacòn peggio del buso. Se la competenza è scarsa e la capacità argomentativa pure, succede che una gaffe tira l’altra. Del resto la Castelli fa parte di una squadra che in pochi anni ha scritto la bibbia delle gaffes. Mitico Toninelli, ministro del tunnel del Brennero; mitica Azzolina ministra degli imbuti da riempire; mitico di Maio delle relazioni internazionali a tutto campo, dalla Russia paese mediterraneo, al Venezuela del dittatore Pinochet, alla Cina del presidente Ping (senza pong per fortuna), alla Francia dalla democrazia millenaria (che abbia confuso Vercingetorige con Robespierre?), all’app Immuni che segnala se il prossimo è infetto. C’è chi spera sempre in Dibba, quello che ha fatto combattere Napoleone ad Auschwitz.
Fin qui è come sparare sulla Croce Rossa. Ma c’è dell’altro, a mio parere. C’è probabilmente un retropensiero secondo il quale: uno, la politica non è confronto nella ricerca della soluzione migliore ma conflittualità (questa è l’eredità peggiore dell’italico bipolarismo di guerra); due: la presunzione dell’onestà ti autorizza al potere e ti esime dalla fatica della conoscenza (questa è l’eredità peggiore del giustizialismo); terzo: la comunicazione non è argomentazione ma cattura emozionale e un po’ fraudolenta del consenso. In sintesi: è il vaffa.
Nella fase prima della presa del potere il vaffa si rivolgeva alla classe politica nel suo complesso (la casta); nella successiva, con i grillini entrati nel palazzo, nel gioco politico, ai vari competitor, a turno.
Quando ti sei abituato alla logica del vaffa, il rischio è di finire per puntarlo verso chiunque ti crea un problema. È il fastidio del potere verso chi non si adegua (“e sempre allegri bisogna stare, che il nostro piangere fa male al re”, Jannacci-Fo). Poniamo: i cittadini romani. In un post che Grillo ha rilanciato, Roma è “bella ma zoccola” e i romani “gente di fogna” che non si meritano la Raggi (che è giù nei sondaggi). Oppure: i sindacati. Quelli della scuola denunciano carenze per la riapertura a settembre? “Mi criticano – replica la ministra Azzolina – perché sono giovane, donna e pentastellata”. Praticamente un vaffa col rossetto. E tornando alla nostra Castelli, la sostanza è un vaffa ai ristoratori (centinaia di migliaia di posti di lavoro). Romani, sindacati scuola, ristoratori: tre spicchi di società civile – non di casta – da cui il potere anticasta si sente infastidito. Prodigi dello statalismo populista che ama le plebi non il popolo.
E siccome il vaffa non è lo stile solo dei palazzi ma anche di tanti nostri rapporti quotidiani, non ci resta che provare tutti a guardare e meravigliarci (come invita il Meeting di Rimini di quest’anno) del buono che c’è: nei romani, nel sindacato, nei ristoratori, nel bar sport della Celestina. E anche in una buona quinta elementare. Forse vivremmo meglio. E forse aiuteremmo la politica, in un tempo che ahimè non immagino breve, a concepirsi non come deus ex machina ma come servizio, come si diceva una volta negli ambienti cattolici. Servire il popolo, come predicava il compagno Brandirali.