Dissonanza cognitiva è l’espressione coniata più di 70 anni fa dallo psicologo sociale Leon Festinger per spiegare la reazione di fronte a due fatti contraddittori o quando un comportamento contraddice un fatto accertato. La dissonanza non può mantenersi a lungo: bisogna dimenticare il fatto noto, cambiare condotta o elaborare una giustificazione. Un fumatore continua ad accendere dodici o venti sigarette al giorno, ma sa che “fumare uccide”, perché è scritto su tutti i pacchetti. La contraddizione non può essere retta a lungo, perciò o i fumatori smettono o cercano una giustificazione: “Fumo perché così mi mantengo magro, perché non voglio morire da vecchio”. Le giustificazioni non tendono a essere coerenti.

La dissonanza cognitiva è più dolorosa quando le evidenze mettono in discussione il modo con cui una persona o un gruppo vedono se stessi. L’elettore che ha votato un certo partito, quasi inconsciamente, tende a giustificare le azioni dei leader che lo rappresentano, anche se scorrette e inopportune. Il compratore abituato ad acquistare una certa marca di automobili tende a dimenticare che è costosa o che consuma molto. Le decisioni prese creano una sorta di appartenenza che finisce per scordare i fatti. Il meccanismo è semplice e tutti lo conosciamo, tuttavia tendiamo a sottovalutare il suo potere emotivo. E questo è un tempo nel quale l’emotività è praticamente tutto.

Alcuni psicologi sociali hanno ripreso la dissonanza cognitiva per spiegare, su The Atlantic, il comportamento di molti statunitensi durante la pandemia. Il Paese è duramente colpito dal Covid e l’isolamento o l’uso della mascherina servono, evidentemente, per frenare il virus. Questo fatto si pone in contraddizione con la decisione di tornare al lavoro, al bar preferito o alla riunione con gli amici. Per questo ci sono tanti che dicono che le mascherine impediscono di respirare o che reclamano una libertà che va contro le loro vite.

La dissonanza cognitiva spiega comportamenti sociali, ma anche delle élite e della classe politica. È un buono strumento, per esempio, per capire cosa sta succedendo nella vita politica spagnola. I dati sono schiaccianti: la pandemia è stata gestita male. La relazione annuale sullo Sviluppo sostenibile dell’Università di Cambridge assicura che tra tutti i Paesi Ocse la Spagna è quello che ha risposto nel modo peggiore al virus. Cosa che non può essere certamente attribuita al comportamento dei cittadini che, in grande maggioranza, sono stati esemplari durante l’isolamento, né a medici e infermieri che sono stati eroici. La società civile, il mondo delle imprese si sono impegnati con una generosità che è andata molto oltre una stanchezza che sarebbe stata comprensibile. La Spagna è all’ultimo posto per la gestione del suo Governo centrale e, probabilmente, di buona parte di quelli autonomi. È fondamentalmente un problema del Governo di Sánchez, ma anche dell’organizzazione territoriale delle competenze tra le Comunità autonome e l’Amministrazione centrale.

Il risultato non è migliore nell’ambito economico. Un mese fa l’Ocse ha segnalato che la Spagna sarebbe il Paese più colpito nel caso di una seconda ondata come quella che si prospetta. Le vecchie debolezze diventano adesso una pesante zavorra: non si è approfittato del periodo di crescita per fare le riforme necessarie nel sistema educativo, in quello pensionistico o nel mercato del lavoro. La Spagna è entrata nell’era Covid con deficit e debito alti, con un’eccessiva dipendenza dal turismo, con pmi troppo piccole e con una formazione scollegata dal mondo produttivo. Il 56% dei lavoratori spagnoli è impiegato in attività che presentano rischio di contagio. Il Governo socialista, all’inizio dell’epidemia, ha fatto bene ad approvare una linea di prestiti agevolati e il pagamento di un sussidio a più di due milioni di lavoratori attraverso la Sicurezza sociale per evitare la chiusura di aziende. Gli strumenti scadranno a settembre e allora ci saranno centinaia di migliaia di nuovi disoccupati. Il Governo di Sánchez ha riposto quasi tutti le sue speranze nei 140 miliardi del Recovery fund, rimanendo sorpreso per il ritardo, i limiti e le condizioni degli aiuti europei.

I dati del “pacchetto” sanitario ed economico sono persistenti, ma anche gli avvertimenti sociali si ripresentano. Sondaggio dopo sondaggio, gli spagnoli dicono di volere in maggioranza un grande patto di Stato. Il Governo Sánchez fa costantemente finta di arrivare ad accordi con il Partito Popolare, che però non si realizzano mai. Non è solo il carattere radicale del compagno di governo, Podemos, che lo impedisce: è una dissonanza cognitiva che frena il passo. Ha deciso, comunque vada, di “fumare”, governare, senza la destra, con la giustificazione del logoramento subito dai socialisti greci o tedeschi quando hanno appoggiato formule di “grande coalizione”. Sfortunatamente, la destra si comporta spesso copiando pari pari il Governo.