Torna in libreria uno dei libri più belle e spericolati di Giovanni Testori: “In exitu”. Un libro pubblicato nel 1988, nato come romanzo, ma che con intuizione geniale Franco Branciaroli volle portare sul palcoscenico del teatro. Venne infatti rappresentato quello stesso anno, con esordio a Firenze, mentre a Milano, prima di essere programmato nella sala dell’Out Off, fu rappresentato alla Stazione Centrale, luogo dove tutta la vicenda si consuma, davanti a 500 persone assiepate, nel gelo dicembrino, sugli scaloni di marmo. Da quella rappresentazione unica nacque il mito di un testo che, come scrisse Repubblica, è «una bomba disinnescata pronta a far esplodere le nostre coscienze».
Il protagonista di “In exitu” è Riboldi Gino (prima il cognome poi il nome…), un ragazzo drogato che ripercorre tutta la sua vita nel bagno della Centrale, dove un’overdose lo sta straziando e uccidendo. È un testo che oggi torna, confermandosi purtroppo di disperante attualità, perché la solitudine umana e sociale del protagonista è quella che stanno ancora patendo tanti ragazzi finiti come lui prigionieri della droga.
“In exitu” è un testo che ha sempre impressionato e scosso tutti proprio per quella forza con cui la scrittura si cala nella vita del protagonista in quel suo momento estremo, e ne intercetta senza mediazioni il grido. Questa nuova edizione (nella collana Universale Feltrinelli) si avvale ad esempio di un’introduzione, davvero molto intensa e anche utile per il lettore di oggi, firmata da Sonia Bergamasco, un’attrice di successo e ben popolare al pubblico televisivo.
Bergamasco giustamente sottolinea come la forza di questo libro sia nella sua necessità. È un libro “inevitabile”. «Riboldi Gino, cognome e nome, cristo piccolino lombardo e derelitto, già pronto alla morte per overdose, è protagonista assoluto del libro che deve essere scritto… Il libro deve essere scritto, la testimonianza deve essere raccolta, lo esige la parola che erompe, esplode, si frangia, si smangia, erutta, si crepa. Gino non ha modo e forze per farlo. Chiede di essere “scritto”, chiede di essere riconosciuto nella sua maestà di testimone».
C’è in effetti qualcosa di biblico nella “necessità” di questo libro. Non a caso il titolo, “In exitu”, è tratto dall’incipit del Salmo 113 che racconta la fine della schiavitù di Israele in Egitto e che anticamente veniva cantato nel trasportare il corpo di un defunto nel luogo della sepoltura (Dante lo fa cantare alle anime che approdano alle spiagge del Purgatorio). È un canto che prelude dunque ad una liberazione. “In exitu”, scrive infatti Sonia Bergamasco, è «una via di uscita», che dà vita «attraverso la parola, ad una delle azioni linguistiche più sfrenate e sconvolgenti del Novecento italiano».
La parabola disperata di Riboldi Gino si chiude con un'”uscita” che ha la forma inaspettata di un abbraccio di Cristo al ragazzo che esala l’ultimo respiro. Un abbraccio reale, fisico, tenero che nella lingua tutta come trivellata da singhiozzi del protagonista viene testimoniato così: «Serrato su. Imbracciato. ‘Me in una câ. La sua. La sua de lu. La sua de lu». Dove il “lu” tante volte ripetuto, è proprio “lui” Gesù.