Nei giorni scorsi il premier Giuseppe Conte e tutta la compagnia di giro che lo sostiene ha esultato oltre ogni misura per il presunto successo nella trattativa sul Recovery Fund. Ad un esame neanche troppo approfondito dell’accordo ci si accorge però che non stiamo parlando di soldi che l’Italia potrà spendere come vuole, neanche quelli a fondo perduto. Per essere ancora più chiari, non avremo a disposizione dei fondi per perpetuare all’infinito gli interventi assistenzialistici che hanno caratterizzato forse inevitabilmente questo periodo: gli stanziamenti dell’Unione Europea sono fortemente vincolati nello scopo e nel metodo di erogazione.
Innanzitutto per accedere al Recovery non solo occorre proporre un “Piano nazionale di riforme” finalizzato a politiche verdi e digitali. Si deve anche ottemperare a raccomandazioni Ue 2019-2020 diverse paese per paese. L’Italia dovrà proporre riforme a riguardo di pensioni, lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione e sanità.
Qui sta il primo nodo politico. Se si sono alzati gli scudi sul Mes perché non volevamo essere commissariati, cosa dovremmo dire di questi vincoli sui fondi del Recovery Fund? Entrando nel merito, non solo gli stati frugali ma anche la Commissione vuole la revisione della quota 100 che è stata una delle bandiere del Conte 1 – con la Lega a bordo – mai rinnegata dal Conte 2, in particolare da M5s. E sul mondo del lavoro l’Europa ci accusa proprio a proposito dei lacci e laccioli messi negli ultimi anni, che hanno mortificato e ucciso tutte le riforme di Biagi e dei suoi successori annullando ogni tipo di vera politica attiva del lavoro.
Idem sulla giustizia, in cui siamo stati sanzionati un numero innumerevole di volte dalla Corte di Giustizia per gli abusi contro gli imputati. Siamo disposti a uscire dalla autoreferenzialità di una certa parte giustizialista della magistratura che se non eterodirige processi come stiamo scoprendo in questo periodo, comunque si oppone a qualunque riforma che non sia decisa da essa stessa?
E cosa dire della sanità? Il coronavirus ha mostrato che manca quasi dappertutto una visione strategica che dia una risposta organica ad alcuni nodi cruciali: che nesso costruire tra i sistemi regionali e quello nazionale, che relazione postulare tra pubblico e privato, territorio e ospedali, medici di medicina generale e ospedalieri, come superare i tagli orizzontali con la valutazione della qualità, come tutelare la mobilità per curarsi dove e meglio sempre più messa in discussione.
Per rispondere a queste domande non solo chi guida il Governo, ma anche l’opposizione deve darsi un colpo d’ala, deve rimettersi a fare una politica di lungo periodo per molti aspetti impopolare. E non possiamo traccheggiare: il giudizio del nostro piano di riforme non sarà dato solo dalla Commissione: anche un gruppo di Paesi cosiddetti “frugali” – 42,17 milioni di persone che elargiscono all’Ue 13,6 miliardi di euro per riceverne 7,6, l’Italia, 60,4 milioni di persone, cede 15,2 miliardi e ne riprende 10,3 – potrebbe bloccarlo.
Inoltre, anche una volta approvato il piano l’erogazione dei soldi dipenderà dal rispetto degli obiettivi intermedi del piano di riforme nazionale valutato dai ministri delle Finanze della zona euro. Non basta: se anche un solo governo dovesse ritenere che ci sono deviazioni dagli obiettivi potrà chiedere di discuterne al successivo Consiglio europeo, e la Commissione potrà, dopo una valutazione di non più di tre mesi, bloccare i pagamenti.
Ecco, in controtendenza con tanti commentatori e politici italiani, io ritengo che l’Europa abbia sacrosanta ragione e anche i paesi cosiddetti frugali hanno più ragione di noi. Perché mentre continuiamo a lamentarci spendiamo una cifra risibile dei fondi strutturali europei a noi assegnati per due ragioni.
La prima è che da decenni rifuggiamo da riforme organiche che cambino il paese nel profondo ma non sono percepibili facilmente dall’elettore. La seconda è che i fondi strutturali non possono essere spesi con rozzi metodi top-down: richiedono la collaborazione di pubblico e privato, amministrazioni locali e centrale, associazioni imprenditoriali, enti camerali, eccetera. Come si è detto in un altro articolo, sarà la logica dell’Europa anche per i fondi verdi di lungo periodo: costruire progetti che prevedono la collaborazione organica di tanti soggetti.
Invece di cantare vittoria per puntellare alleanze e governi o insultare l’Europa si dovrebbe dire la verità: o cambiamo o rimaniamo all’asciutto. Speriamo che questa predominanza degli esperti di comunicazione non sia l’alba di una nuova ennesima e rovinosa occasione perduta.