In un’epoca in cui uno può essere il prodotto di un utero a nolo, o trovarsi con due papà gay o due mamme lesbo, colpisce che dei fratellini facciano lo sciopero della fame per tornare (insieme) dalla (unica) madre alla quale dis-servizi sociali e buro-giustizia minorile li hanno sciaguratamente sottratti: prelevati senza preavviso dalla forza pubblica il 10 luglio di buon mattino e trasferiti in tre comunità residenziali, i più grandi, e data in affido a una famiglia la piccola.
La storia accade a Cuneo. L’inizio a fine estate 2018. Un papà, una mamma, quattro figli (due maschi oggi di 16 e 11 anni e due femmine di 14 e 6). La separazione dei due coniugi. La denuncia di molestie sessuali subite in particolare dalla figlia allora dodicenne. I servizi sociali, l’affidamento temporaneo ai genitori di lui, il presunto molestatore (chapeau!). Le azioni per ottenere l’affidamento in esclusiva da parte della mamma e, per contromossa, da parte del papà, che trascina l’ex moglie e i ragazzini in un gorgo perfido di tribunali e perizie.
Un iter da girone infernale. Lo hanno ricostruito in una conferenza stampa alla Camera il legale della donna, avvocato Domenico Morace, e l’on. Veronica Giannone, ex Cinquestelle, nel gruppo misto dopo l’espulsione dal Movimento, con incarichi istituzionali nell’ambito della tutela dell’infanzia e dei minori. Il legale ha documentato una trafila inimmaginabile di sciatterie, contraddizioni e irregolarità negli atti e nelle procedure; la deputata ha insistito sulla mancata audizione dei minori circa la loro destinazione, prevista invece dalla legislazione italiana e dalle convenzioni di Strasburgo come obbligatoria sopra i 12 anni, facoltativa al di sotto di tale età.
La Giannone ha puntato il dito anche contro l’influenza di certe teorie psicologiche, scientificamente non validate, legalmente non accettate, ma talvolta penetrate nelle mentalità, lesive della dignità e della soggettività dei minori e del loro rapporto affettivo con i genitori. Per esempio la cosiddetta Pas, Parental Alienation Syndrome, ovvero sindrome da alienazione genitoriale, che secondo il medico statunitense Richard Gardner colpirebbe figli minori coinvolti in separazioni, divorzi e violenze domestiche.
Sono temi delicatissimi, che meriterebbero riflessioni accorte e non giudizi tagliati col falcione.
Bibbiano avrebbe potuto essere un’occasione. Non lo è stata: buttata tutta in politica, poi dimenticata. Bibbiano, ricordiamo, è il comune in provincia di Reggio Emilia, a guida Pd, dove secondo l’accusa vennero decisi dai servizi sociali numerosi affidi illeciti di minori sottratti a famiglie deboli. Per business, dissero gli accusatori leghisti e grillini. Forse: lo dirà il processo che si aprirà il 10 ottobre. Ma il problema di fondo non è il famelico business col soldo pubblico e nemmeno la svogliata buro-giustizia: prima che etico il problema è culturale. Cioè l’idea che l’ente pubblico “preposto” conosca a priori e indefettibilmente il bisogno e la soluzione, perché lo Stato è oggettivo; mentre gli “io” – persone, famiglie – non vanno tenuti troppo in considerazione nella loro dimensione umana e affettiva, nei loro desideri e aspirazioni: roba soggettiva, pericolosa, foriera di guai.
Certo, a volte può non esserci altra soluzione che la separazione dei minori dai genitori; ma qui si annusa una certa aria di statalismo. Nell’economia (lo denunciano in tanti): la tentazione di sostituirsi all’intrapresa libera, anziché aiutarla assicurandole condizioni non ostili. Ma anche a riguardo della famiglia: la tentazione troppo frequente e facilona di sostituirsi ad essa, quando è in difficoltà, anziché aiutarla con il sostegno economico, o psicologico, o favorendo un contesto di buona socialità. Condivisione e sussidiarietà da una parte, burocrazia e statalismo dall’altra. L’alternativa tocca non solo i massimi sistemi, ma anche il mondo piccolo della vita di ogni giorno. Conviene stare in campana.