Il problema per Cristo è la sua stessa grandezza: esser grandi è mettere in conto di essere incompresi. “Se le persone non ti capiscono – provo a stringere l’elisir di Cristo per campare tutta l’eternità -, non farne un dramma: è che sono troppo impegnate a giudicarti e non hanno tempo per stupirsi di te”.
Ragiona da Dio, letteralmente, Gesù: è come se la vita normale non gli interessasse affatto, tutto teso com’è a ricercare i momenti più intensi. Condannato, per volere suo, a cercare il meraviglioso in tutto ciò che lo attornia: «Io continuo a stupirmi. E’ la sola cosa che mi renda degna la vita di essere vissuta» scriveva Albert Einstein. Un po’ come ammettere che tutti, da coscienti o da incoscienti, necessitiamo di una dose di meraviglia quotidiana.
In quei giorni Cristo aveva tutte le scuse in tasca per tornarsene a Nazareth e riaprire la bottega di Giuseppe: il mondo gli andava contro, dopo i primi miracoli le prime sventole in faccia, l’amico Giovanni era stato preso e gettato dentro nella gattabuia di una galera. Qualcuno, non è così difficile immaginare, gli consigliava prudenza, gli ricordava la sua giovane età: è destino dei visionari viaggiare con il vento contro e senz’olio nel motore. E’ loro sorte ricordarsi sempre che l’aquilone si alza in volo solo con il vento contrario.
Il momento sfavorevole è dunque quello favorevole per il bastian-contrario del Messia. Con il vento della storia che gli sferraglia contro come un treno, Lui decide di alzarsi in volo. Invece che lamentarsi – “Sono depresso, confuso, non c’è nessuno che mi capisce, tutti ce l’hanno con me, nessuno mi vuole un po’ di bene, figurarsi se me ne va bene una” – si meraviglia dell’incomprensione di chi non lo comprende.
Di più: è l’incomprensione della gente avversa che lo rende ancor più convinto del fatto suo, che è anche il fatto del Padre suo. Ecco la sua risposta all’invito a rimangiarsi quanto detto: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». “Dantesque” definirebbero i francesi uno che, quando l’intero mondo gli gira contro, sa leggere dentro l’applauso al suo Credo. Capita che i grandi – quelli che si pensano tali – lo squadrino con cautela, non amino quel suo modo un po’ strafottente di porsi di fronte alla Legge, si sentano impacciati di fronte a quell’Uomo che mette l’uomo prima della legge. Non lo capiscono per non doverlo accettare, dunque dicono di Lui che è un pazzo scatenato. E’ storia che si ripete per tutti i secoli a venire: dare dei pazzi a coloro che non si riesce a comprendere è la versione più smisurata della pigrizia mentale di un’anima pia.
Cristo non cade nel loro tranello, l’autostima non gli manca: se i grandi non intendono è perché sono tutti intenti nel misurarsi la grandezza. I piccoli, invece, non hanno né tempo né metro per farlo, sanno di non essere chissà chi, sanno di essere chiaramente dei-piccoli. Dunque acciuffano al volo l’invito di Gesù. È un invito a nozze, di quelli da capogiro: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (cfr Mt 11,25-30). Non ha promesso loro un nuovo catechismo, una liturgia fai-da-te, una forma di cristianesimo su misura: ha solo promesso di affittare loro gratis lo spazio del suo cuore. E loro, i piccoli più grandi del Regno, accettano di costruirsi il nido nel cuore di Dio. Siccome sono così piccoli che i cardinali e i vescovi manco li calcolano, Dio si innamora di loro: “A fraintendermi sono capaci tutti – sembra dire ai sapienti Cristo -: la vera rivoluzione, ch’è solo dei poveri, è di capirmi al volo”.
La differenza è un’inezia, ma la conseguenza è pachidermica: i colti vogliono prima capire per poi scegliere se amarlo oppure no, i piccoli decidono prima di amarlo per poi riuscire a comprenderlo sempre un po’ di più. Sono bambini in tutti i sensi: «Quando sono nata ero così sorpresa che non ho parlato per un anno e mezzo» (G. Allen). Più o meno la richiesta del Cristo: “Per me uno stupore, grazie. Di quelli ad occhi spalancati”. Che è come suggerire di lasciare aperte tutte le porte per rischiare di trovare. Di trovare Lui.