MINNEAPOLIS – Qualche giorno fa, parlando di letture con una nipote di dieci anni che i libri se li mangia, mi son ritrovato a raccontarle in quattro parole di Moby Dick e del capitano Achab. Una delle storie che amo di più. Anche noi stavamo navigando sebbene non nel grande oceano né a bordo del Pequod, ma su una barca a motore in un bel lago del Minnesota e forse sarà stato per quello, ma mi è venuto da pensare che il mondo è pieno di comandanti Achab.

Siamo tutti un po’ Achab; in un modo o in un altro siamo tutti a fare i conti con il destino che ci tocca. E lo contestiamo perché non è come vorremmo noi. Allora tutti i piccoli e grandi comandanti Achab o si dannano per cercare di cambiarlo, questo destino, di domarlo, o si impegnano nel tentativo di scrollarselo di dosso, come non esistesse. A volte si ricorre alla violenza, trovando qualche modo per sfogare il nostro senso di ribellione, a volte ci si adagia nell’indifferenza o nel perseguire la distrazione per ignorare quel che non possiamo cambiare. E poco sembra importare quel che ne è dell’equipaggio, degli altri, cioè del bene di tutti i nostri compagni di navigazione, del bene comune.

L’America di oggi con la sua insistenza sull’individuo è proprio così, piena di tanti Achab, piccoli e grandi. L’America di oggi, ovvero l’America del coronavirus che avanza inarrestabile, dei rigurgiti razziali solo apparentemente acquietati, della polizia messa in discussione, privata di fondi e sistematicamente colpevolizzata, l’America dei milioni di disoccupati, della criminalità insorgente, l’America di Trump sempre più spaccata tra “compagni di bandiera” e “nemici che non la pensano come me”. Chi non vorrebbe arpionare tutto questo e riprendere a navigare, vivi, liberi e alla ricerca della felicità nel grande American Dream come auspicato dai Founding Fathers? Ognuno a modo suo ci prova, perché cos’altro c’è da cercare se non “vita, libertà e felicità”? Ma questi tentativi appaiono sempre più irragionevoli, ottusi, proprio come l’ossessiva caccia a Moby Dick perpetrata da Achab.

La questione coronavirus, il grande amplificatore della nostra incapacità di trattare col Destino, sta assumendo toni grotteschi oltre che drammatici. Ieri con oltre 55mila positivi abbiamo raggiunto un nuovo record giornaliero di contagi. Basta chiudere gli occhi e tirare avanti per non esserne toccati, o ascoltare solo le campane che vogliamo ascoltare, quelle che dicono quel che vogliamo sentirci dire? Basta? Guardare Fox e Cnn, le reti capofila della polarizzazione, è uno spettacolo sconsolante e inquietante, dove si assiste a un continuo esercizio di faziosità in cui tutti si stracciano le vesti alle bestemmie altrui. Basta ridicolizzare “il nemico” per costruire qualcosa?

Neppure il 4th of July, Independence Day, la nostra grande festa nazionale, è servita a lenire questi profondi sentimenti di astio e a rianimare almeno un briciolo di desiderio per un tentativo di impegno solidale. Mentre sui laghi del Minnesota guardavo sventolare, come trofei, scudi e simboli di appartenenza, bandiere inneggianti a Trump, a New York City (che ora vedo solo attraverso gli occhi degli amici) ancora in regime di semi-lockdown, la notte intera di sabato è trascorsa in maniera surreale tra interminabili fuochi d’artificio in ogni dove e gente per le strade. Come un popolo smarrito nel deserto, stanco di un destino quotidiano faticoso e non comprensibile, che non sapendo a chi rivolgersi, non trovando di meglio si forgia il suo vitello d’oro…

Combattere il Destino, ignorarlo… Oltre al nostro “Independence Day” dovremmo imparare a celebrare “Dependence Day”, un giorno per aiutarci a ricordare o scoprire che il Destino non è un nemico, ma una strada da percorrere. E che il Destino, come Moby Dick, è invincibile.

Non dimentichiamoci che Melville ci fa sapere che Achab non fa una bella fine. E non dimentichiamoci che i comandanti Achab non esistono solo in America.