Il mio cuore non dorme

Lo scrittore José Ángel González Sainz invita a tenere desto il cuore, a osservare a non lasciare che vincano i pregiudizi sulla realtà

Not too much to ask, Non è chiedere troppo, titolo che ci rimanda a una vecchia canzone di Bob Dylan, è stato scelto una serie di tre interviste-documentario che verranno mostrate al Meeting di Rimini. Tre conversazioni con José Ángel González Sainz, scrittore spagnolo, Maurizio Maggiani, scrittore italiano, e  Cornel West, filosofo statunitense. 

Non è chiedere troppo che nel marasma dei giochi con il nulla qualcuno abbia un legame effettivo con la realtà, qualcuno sia capace di offrire un momento di conversazione che superi schemi e formule triti e ritriti. Quelle sante e buone formule che hanno trasformato in nostalgie putrefatte e in strumenti di potere le parole di un tempo. Non è chiedere troppo uno sguardo che ci restituisca il gerundio: quello che sta succedendo. O forse sì, forse chiedere è un po’ troppo e questo rende interessante questa serie di incontri.

Mi corazón no duerme (Il mio cuore non dorme) è il titolo della puntata che ha come protagonista J.A. González Sainz, autore di Ojos que no ven (Occhi che non vedono), il romanzo che ha trattato forse con maggiore acume la contaminazione nichilista con la quale il gruppo terrorista dell’ETA ha invaso la società spagnola. Gli occhi di González Sainz, promotore di un ambizioso progetto culturale per stranieri nella città di Soria, guardano e riguardano cercando “la irruzione della realtà”. “Il problema di non voler vedere”, spiega, “mi è sembrato sempre essenziale; tutti nella vita abbiamo momenti nei quali non vogliamo vedere certe cose e altri momenti nei quali ci si aprono gli occhi, arriva una luce e vediamo”. E confessa che la sua opera, la sua vita, è una ricerca, una lotta tra il dato e le parole, l’immaginazione, la memoria. Vuole fuggire dalla parola dei demagoghi, dei chierici, degli ideologi, dei comunicatori e della pubblicità. Cerca quegli istanti nei quali davanti alle cose, agli alberi, all’acqua, si produce una “epifania”.

“Un esercizio che faccio spesso con gli stranieri che arrivano è portali a fare una passeggiata e chiedere loro: ‘cosa vedi?’ E dopo alcuni giorni chiedo ancora: ‘e adesso cosa vedi?’ Riconoscono che non avevano visto”. A González Sainz si può attribuire ciò che lui stesso dice del suo grande personaggio Felipe Díaz Carrión. Felipe è un uomo della Castiglia al quale l’ETA ha rovinato la vita. Davanti alla tentazione del nulla, fa un  passo indietro, per una strana saggezza. “Questa saggezza gli viene dal cammino, è un’apertura all’eterno. È una saggezza con un  accento malinconico, una porta che si apre sui cardini elaborati a partire dai grandi enigmi della vita dell’uomo”, annota. “Ogni narrazione che si rispetti, o almeno quelle che più mi interessano, sono quelle nelle quali appare un eco di quanto qualcuno ha avuto a che fare con questi cardini”.

Uno dei suoi ultimi articoli sul quotidiano El Mundo invitava a “fare delle viscere della realtà il cuore dell’intelligenza”. “Ogni cosa è questa cosa e la sua trascendenza, ma viviamo in una virtualità nella quale le cose si perdono”. Per questo è importante “mantenere viva la tensione, verso le cose, i fatti, la realtà. Credo che non vi sia altro rimedio che tornare alle cose, ovvero tornare al punto di inizio”. Questo ritorno esige che si ricordi che “non siamo qui ora per la prima volta nella vita, che prima c’erano parole, che ci sono i morti, le nostre precedenti generazioni”.

Lo scrittore spagnolo è convinto che in questo lavoro di recupero della realtà si è aiutati dagli sbagli. “A volte ci aiutano gli sbagli, le crisi. Le crisi sociali, le crisi personali, le infermità”. La virtualità e l’emotività, secondo González Sainz, impediscono il rapporto con la realtà. “Ci sono emotività, sentimenti ovunque, questo è un orrore. Alcuni movimenti politici sostengono di finirla con la realtà e che occorre rivendicare il sentimento politico e paiono non rendersi conto che questo è l’odio, il linciaggio. Succede quando l’interazione tra ciò che chiamiamo intelletto e sentimento non funziona bene e la ragione non riesce a tenere le redini. Trionfa il pregiudizio e finiamo per cavalcare una pericolosa stupidità”.

Per superare la stupidità, González Sainz ha tra i suoi compagni il grande poeta Antonio Machado, che legge e rilegge e che spiega in modo affascinante. “Machado va alla base dell’umano, a qui cardini fatti degli enigmi più importanti nella vita dell’uomo”, sottolinea. “Uno degli elementi più importanti per Machado è il risveglio e la veglia. Si chiede il poeta: “Si è addormentato il mio cuore? Alveari dei miei sogni, state in ozio? Manca l’acqua alla noria della mente e le secchie giran vuote, sono piene solo d’ombra? No, che non dorme il mio cuore. È ben desto il cuore, è desto”. L’importante è che il cuore sia sveglio, all’erta, vigile. E cosa fa? Ascolta e guarda. Cosa guarda? Lontano. Cosa ascolta? Le rive del grande silenzio. È chiedere troppo?

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