Onore a Mario Draghi, ma onore anche al Meeting per l’Amicizia fra i popoli di Rimini. Non vuole essere un riconoscimento retorico, ma il discorso dell’ex Presidente della Banca centrale europea è stato sollecitato dalla quarantunesima edizione del Meeting e finalmente rappresenta un programma, un manifesto programmatico, un’indicazione di linea di politica economica. Quasi un “miracolo” di intelligenza, si potrebbe dire, mentre nel Paese infuria confusione, contorsione ideologica, completa carenza di visione di politica economica, moltiplicarsi di riunioni spesso estemporanee, Stati generali di cui nessuno si ricorda e nessuno ne ha mai compreso il motivo, piani-Colao che spariscono e “appassionati” dibattiti su banchi di scuola a rotelle, monopattini elettrici e biciclette.

Per piacere, si invita a confrontare il discorso di Draghi con la pagina 7 della Stampa di lunedì 17, dove Nicola Zingaretti fa una sorta di “predica” inutile sull’alleanza di governo e la tenuta della nazione, facendo solo il controcanto alle pericolose banalità di alti comprimari del Parlamento, quelli dell’opposizione.

Pur sfidando i tedeschi e i soliti “frugali” nella Bce, Draghi fu il personaggio che azionò il “cannone” del Quantitative easing il 22 gennaio 2015 e salvò l’Europa da una crisi devastante provocata dalla crisi finanziaria sbarcata dagli Usa in Europa dopo il 2008. Quella mossa di Draghi colpì tutti, perché il ricordo del Draghi del 1992 non era, per alcuni, positivo. Anche se nessuno ha mai messo in dubbio le capacità teoriche e manageriali dell’uomo.

L’ex pPesidente della Bce sa illustrare bene la realtà, La crisi finanziaria, ha detto ieri, aveva messo in ginocchio l’Europa e qualcuno piuttosto strabico usava l’austerity, con risultati catastrofici. Alla fine, dopo l’azione della Bce, ci sono stati sintomi di ripresa, ma poi è arrivata la pandemia. Spiega Draghi a qualche sordo: “Essa minaccia non solo l’economia, ma anche il tessuto della nostra società, così come l’abbiamo finora conosciuta, diffonde incertezza, penalizza l’occupazione, paralizza i consumi e gli investimenti”.

Qui Draghi va interpretato nella sua sottile critica alle politiche attuali: “In questo susseguirsi di crisi i sussidi che vengono ovunque distribuiti sono una prima forma di vicinanza della società a coloro che sono più colpiti, specialmente a coloro che hanno tante volte provato a reagire. I sussidi servono a sopravvivere, a ripartire. Ai giovani bisogna però dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e i loro redditi futuri”.

A questo punto del suo discorso, Mario Draghi dà la prima frustata ai “nipotini” italiani della “Baruffe chiozzotte”, quelle che Carlo Goldoni voleva titolare “Baruffe italiane”. Di fatto dà una stangata ai “pensatori” poco acuti delle maggioranze differenziate e dei partiti da mettere insieme. Dice Draghi: “La società nel suo complesso non può accettare un mondo senza speranza: ma deve, raccolte tutte le proprie energie, e ritrovato un comune sentire, cercare la strada della ricostruzione”.

Ecco serviti quelli che si sono legati alle poltrone e quelli che aspettano solo le elezioni. Draghi continua: “Nelle attuali circostante il pragmatismo è necessario. Non sappiamo quando sarà scoperto un vaccino, né tanto meno come sarà la realtà allora”. Ma la sostanza del pensiero di Draghi sta in questa frase: “Dobbiamo accettare l’inevitabilità del cambiamento con realismo e, almeno finché non sarà ritrovato un rimedio, dobbiamo adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche”.

È con questo pragmatismo che il 25 marzo di quest’anno, in piena pandemia, Draghi scriveva una lettera al Financial Times per suggerire un’inevitabile politica di indebitamento al fine di risolvere i problemi che si profilavano all’orizzonte. E Draghi riprende questa sua ricetta a Rimini con maggior precisione e non attraverso la “pioggia” dei bonus all’infinito. Dice l’ex Presidente della Bce: “La ricostruzione di questo quadro in cui gli obiettivi di lungo periodo sono intimamente connessi con quelli di breve è essenziale per ridare certezze a famiglie e imprese, ma sarà inevitabilmente accompagnata da stock di debito destinati a rimanere elevati a lungo. Questo debito, sottoscritto da Paesi, istituzioni, mercati risparmiatori, sarà sostenibile, continuerà cioè a essere sottoscritto in futuro, se utilizzato a fini produttivi ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca. Se cioè è debito buono”.

La politica del debito procurerà certamente alcuni svenimenti a neoliberisti e mercatisti inflessibili che hanno trascinato il mondo nella crisi del 2008, ma Draghi verrà addirittura scambiato per un provocatore perché ha commesso la “bestemmia” di citare John Maynard Keynes, “il più influente economista del XX secolo che ricordava “When facts change, i change my mind. What do you do Sir?”. C’è quasi l’aria della corrispondenza tra Keynes e Roosevelt, quella che probabilmente leggono tutte le sere Toninelli e Di Maio (si fa per dire, naturalmente).

Ma per ritrovare lo slancio unitario dopo questi anni e dopo il maledetto 2020 della pandemia, Draghi aggiunge ancora: “Ci deve essere di ispirazione l’esempio di coloro che ricostruirono il mondo, l’Europa, l’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Si pensi ai leader che, ispirati da J.M, Keynes, si riunirono a Bretton Woods nel 1944 per la creazione del Fondo monetario internazionale, si pensi a De Gasperi, che nel 1943 scriveva la sua visione della democrazia italiana e a tanti altri che in Italia, in Europa, nel mondo immaginavano e preparavano il dopoguerra”. Draghi lo dice e lo pensa politicamente, rilanciando la politica economica completamente dimenticata da almeno trenta anni.

Draghi su questo punto è quasi perentorio: “Dalla politica economica ci si aspetta che non aggiunga incertezza a quella provocata dalla pandemia e dal cambiamento. Altrimenti finiremo per essere controllati dall’incertezza invece di essere noi a controllarla. Perderemmo la strada”.

Viste le manovre “storiche e prodigiose” che Giuseppe Conte attribuisce al suo Governo c’è da toccare ferro o citare la celebre frase del generale De Gaulle “Vaste programme”. Però, martedì 18 agosto, il discorso di Mario Draghi può far rinsavire la classe dirigente, non solo la “casta”, di questo sconquassato Paese.