Se non avete mai condiviso un video su TikTok e non sapete cos’è una fanfiction su Wattpad siete di certo dei boomers che già a fatica hanno rimosso l’odore di piombo e carta che per oltre cento anni ha accompagnato il caffè del mattino, figurarsi se avete dimestichezza con l’idea di cantare in playback per degli sconosciuti o di fare soldi scrivendo storie di contorno a saghe pop.
Non che sia un obbligo saperlo, ma il mondo ha già ampiamente svoltato nella direzione che i ragazzi hanno preso usando gli smartphone, seppellendo Facebook nel cimitero degli elefanti per nuove e più coinvolgenti forme di condivisione, creandosi a forza un sistema di autodisciplina minima, non avendo avuto alcuna educazione collettiva sull’uso del digitale. Resistono anche nelle versioni online vecchi giochi come il Monopoli, che con le sue regole semplici è ancora nelle classifiche tra i più graditi. La forza del vecchio gioco è nelle sue regole semplici che si basano sul principio che le banconote distribuite sono in un numero finito e predeterminato, di modo che, per effetto di semplice matematica, ci sarà sempre un vincitore che le avrà tutte per sé.
Nelle economie liberali il connubio tra la net-economy ed i monopoli è stato posto in modo formale dal Congresso degli Stati Uniti che ha, per la prima volta, avviato un’inchiesta, per ora conoscitiva, sulle grandi società che dominano il settore. Amazon, Facebook, Google ed Apple sono ormai entità sovranazionali che gestiscono in monopolio i rispettivi settori. Sono nate in contesti accoglienti con le start-up, utilizzando le infrastrutture web esistenti e che in parte hanno contribuito a creare. Oggi sono la punta di diamante dell’economia americana e di questa crisi sono le società che si stanno di più avvantaggiando.
Cosa farà il Congresso, se avrà il coraggio di ripetere lo smembramento di AT&T degli anni 70, quando la monopolistica compagnia dei telefoni venne spacchettata in tante micro società, non è semplice saperlo, ma pare evidente che sarà ancora per lungo tempo l’economia del web a tirare l’economia reale. Nel nostro Paese, e nel Mezzogiorno in particolare, il web viaggia ancora su infrastrutture insufficienti e non si vede soluzione a breve in grado di superare l’ostacolo.
Sembra evidente che sulla rete veloce, in fibra o via etere, la partita vera sia un Risiko di poteri che vogliono accaparrarsi il monopolio tecnologico e che così facendo vogliono assumere non il ruolo di concessionari ma di veri e propri padroni della rete veloce. Se fosse un tema di alta finanza, di giochi geopolitici, sarebbe anche interessante approfondirlo per capire a chi conviene cosa, ma questa guerra sotterranea ha troppe vittime e va conclusa.
Interi pezzi del Mezzogiorno non hanno una rete decente a cui appoggiarsi per poter digitalizzare pezzi della vita; dall’educazione al rapporto con la pubblica amministrazione, con l’avanzare più veloce dell’offerta di servizi maggiore è la distanza con chi non può accedervi perché non ha a disposizione un’infrastruttura decente. Compito dello Stato è quello di superare lo scoglio e virare senza tentennamenti verso soluzioni tecnologiche definitive.
E se si vuole spingere verso una società che sia più accogliente con il digitale e che possa offrire più soluzioni ai cittadini, agli studenti ed alle imprese, la scelta sulla rete e gli investimenti sulla stessa devono partire immediatamente. Così come deve avviarsi una riflessione nel mondo del lavoro e della scuola sull’uso del digitale, adeguando i contratti collettivi nazionali e le norme sulla sulla sicurezza sul lavoro. L’ambiente che stiamo offendo allo sviluppo del digitale è inadeguato e di certo non darà alle nuove generazioni la spinta ad avviare idee e progetti che possano, un domani, competere con alcuni dei big di oggi.
In sostanza lo Stato deve ricreare un monopolio della rete da mettere a disposizione del Paese per poi incentivare l’uso della rete e dei servizi ad essa connessa. La tecnologia può da sola essere un volano per superare le divisioni tra aree del Paese ed offrire un’alternativa di crescita per l’economia, ma lo può fare solo se i programmi del Governo diverranno investimenti e progetti.
La scommessa è quella di fare un salto in avanti nel Mezzogiorno e nel Paese per fare del digitale un’abitudine ed uno strumento che ci accompagni dal primo caffè fino alla sera. E di uscire dalla logica del rinvio delle decisioni sulle infrastrutture. Di certo la pressione dei grandi fondi di investimento, delle partecipate pubbliche e degli operatori esteri è feroce, ad essa si deve l’incapacità a decidere, avendo ciascuno in ciascun schieramento i suoi tifosi.
Anche se è evidente che scegliere e far partire gli investimenti scontenterà qualcuno, abbiamo il dovere di accelerare e fare una rivoluzione digitale che sia volano della ripresa e strumento di diffusione dei diritti, da quello alla didattica a distanza in poi. Diversamente rischiamo di ritrovarci tutti nostalgicamente in coda all’edicola ricordando quello che è stato mentre il mondo va altrove.