In molti hanno giustamente approfondito l’esperienza degli ultimi mesi per imparare e migliorare l’organizzazione: infatti da organizzazioni che non cambiano, sulla base dei risultati, derivano mortificazione per chi ci lavora e pessimi servizi per gli utenti.
Così propongo tre stimoli, che nascono da studi e ricerche di questi mesi, che vorrebbero innanzitutto sensibilizzare chi ha responsabilità di programmazione della sanità regionale al fine di promuovere azioni di sostegno e di incentivazione, ma anche per far riflettere i professionisti così da favorire l’elaborazione di un giudizio comune, quale primo passo per generare efficace cambiamento.
Forse a qualcuno sembreranno ovvie considerazioni, ma è purtroppo emerso che tra il progettare, l’applicare e il conseguire i risultati c’è davvero ancora molta distanza.
Innanzitutto, l’esperienza ha messo in luce che le competenze delle persone sono assolutamente una priorità: ne deriva che occorre scegliere le persone giuste per i ruoli chiave. Si tratta di valutare attentamente le competenze, ma anche alcune capacità manageriali, utili per le scelte complesse, quali saper fare squadra, valorizzare le professionalità presenti e soprattutto motivare.
Questa proposta semplice trova alcune difficoltà legate ai processi di selezione nella pubblica amministrazione. La Regione deve poter sviluppare una serie di prassi che favoriscano sistemi di selezione del personale basati sulle competenze e sulle altre capacità sopra elencate. È una sfida, e per vincerla occorrerebbe, probabilmente, un patto tra il mondo della politica e quello professionale in cui, ad esempio, gli esperti di selezione siano effettivamente liberi e competenti nel valutare ad ampio raggio e quindi far sì che standard professionali e di leadership siano appropriatamente riconosciuti.
Forse qualche indirizzo programmatorio in questo senso sarebbe utile da parte della Regione e forse prassi non solo trasparenti, ma capaci di esprimere valutazioni serie e tempestive aiuterebbero a perseguire questo obiettivo.
In secondo luogo, occorre concepire l’organizzazione non come una burocrazia nemica della professionalità e delle capacità individuali, ma come il modo per renderle efficaci. Le organizzazioni non sono macchine burocratiche, ma persone in azione. Ci sono conoscenze organizzative che possono aiutare a generare servizi di valore: quindi non bisogna generare burocrazia con circolari o decreti, ma definire obiettivi e livelli di prestazioni e lasciare libere le persone, parte delle organizzazioni stesse, di perseguirle.
Cosa può fare la Regione? Certamente non emanare decreti operativi, ma dare obiettivi e chiedere alle organizzazioni di operare e sistematicamente valutare i risultati raggiunti. I professionisti e gli operatori possono contribuire attraverso due distinte e fondamentali azioni: valutare i risultati ed essere disponibili a modificare i comportamenti per costruire modalità di risposta ai bisogni degli utenti forti ed efficaci nel tempo. Regione e professionisti devono fidarsi reciprocamente; la burocrazia nasce proprio dall’assenza di fiducia: manca la responsabilizzazione sui risultati e questi non vengono valutati.
In questa dimensione la questione delle risorse, sovente insufficienti, è corretta ma occorre in primis comprendere se quelle disponibili sono impiegate al meglio. Occorre, da un punto di vista operativo, definire dei progetti: la Regione deve sviluppare sistemi di sostegno della progettualità a tutti i livelli, i progetti devono diventare un metodo di lavoro. Le organizzazioni migliorano con la progettazione e non sempre una visione centrale è utile. La Regione deve promuovere come metodo il progetto e i professionisti e gli operatori devono vedere nella progettazione una parte essenziale della propria attività. Suggerisco, ad esempio, come metodo che la Regione elabori bandi per stimolare progetti che nascano dall’esperienza e dal bisogno delle organizzazioni che hanno visto sul campo cosa serve e cosa deve essere cambiato.
Il terzo tema è quello dell’integrazione (coordinamento) dei processi assistenziali tra i professionisti. In particolare, le attività della medicina territoriale, della presa in carico, dei medici di medicina generale. Questo tema, centrale nella sanità italiana e lombarda, porta indubbiamente alla necessità di una riforma anche istituzionale.
Tre gli elementi su cui riflettere:
• occorre che i professionisti operino all’interno di un “gruppo”, di una “squadra”. È necessario che si costituiscano tra più professionisti modalità di lavoro condivise (sia come spazi, sia come attività nel processo assistenziale). In particolare, i MMG non devono più lavorare da soli, ma in una squadra dove si condividono le professionalità e si valutano i risultati conseguiti. I professionisti non devono vivere la loro professione in solitudine;
• appare indispensabile aumentare interscambio tra professionisti appartenenti a differenti punti della rete e garantire integrazione sui percorsi e sui problemi connessi ai singoli casi. In altri termini, una modalità di lavoro maggiormente trasversale basata su gruppi di professionalità e di estrazione diversa che collaborano in via sistematica;
• i sistemi informativi hanno il compito di supportare questo processo.
In questo contesto occorre probabilmente mettere mano non solo ai processi organizzativi, ma anche ai livelli istituzionali.
In sintesi, le tre idee:
• si identifichino persone per i ruoli di responsabilità non solo sulla base delle indispensabili competenze specialistiche, ma anche valutando la loro capacità di guidare altre persone e nel saperle motivare;
• si valorizzino le organizzazioni attraverso la diffusione del metodo di lavoro per progetti e questo diventi anche il modo per finanziare le organizzazioni;
• si ripensi all’organizzazione dei servizi territoriali in modo radicale, anche attraverso una riforma istituzionale che favorisca la reale integrazione dei ruoli e dei percorsi.