Nella cripta del Duomo di Siena agli inizi degli anni 2000 venne fatta una delle più straordinarie scoperte artistiche degli ultimi decenni: liberando l’ambiente dai detriti di un antico riempimento fatto per ovviare a problemi di statica del coro della cattedrale, erano emersi degli straordinari affreschi di fine 200. In alcune parti gli affreschi conservavano una qualità cromatica impressionante proprio per essere stati per secoli “protetti” dalla luce e dagli altri agenti atmosferici.
Nel ciclo, che è un documento prezioso degli inizi della grande pittura senese (Alessandro Bagnoli, lo storico dell’arte che ha guidato i restauri, ha riconosciuto in alcune scene anche gli inizi di Duccio), compare una scena curiosa e insolita: si vede Gesù Bambino seduto su un banco di scuola con una tavoletta scritta davanti. È un Gesù Bambino molto zelante, che alza la mano per fare una domanda al maestro che ha di fronte.
È un soggetto raro, ma non unico: in Germania, per esempio, in una delle vetrate trecentesche della Frauenkirche di Esslingen, presso Stoccarda, l’artista ha rappresentato la scena bellissima di Maria che porta a scuola un Gesù Bambino, in questo caso un po’ riottoso: in pratica lo trascina per il braccio con energia. È probabile che le due scene siano state ispirate dal Vangelo dell’Infanzia di Tommaso, uno dei Vangeli apocrifi. «Entrò deciso nella scuola, trovò un libro posto sul leggio», si legge tra le righe di quel testo.
È bello pensare a Gesù scolaro in questi giorni che stiamo vivendo, così delicati e importanti per tutte le nostre scuole. Anche lui è passato per aule, per maestri, per banchi. Anche lui ha vissuto gli opposti atteggiamenti di diligenza e di pigrizia. Qui primo della classe, là un po’ ribelle. Uno studente che dava qualche preoccupazione ai genitori, anche se sono preoccupazioni sulle quali tutti i genitori metterebbero la firma: Gesù ne sapeva troppo e lasciava senza parole i professori (come racconta il Vangelo di Tommaso).
È bello capire quanto la scuola sia un’esperienza così importante e decisiva per la storia e la crescita di una persona, tanto che anche il figlio di Dio vi sia passato, come tutti. Anche Gesù ha avuto dei compagni di scuola, ha fatto i compiti con loro, ha ascoltato le lezioni dei maestri. Anche il figlio di Maria e Giuseppe ha imparato a scrivere e leggere l’aramaico, «il suo idioma usuale, pronunziato con quell’accento particolare ai Galilei che li faceva riconoscere appena cominciavano a parlare», come scrive Giuseppe Ricciotti nella sua “Vita di Gesù”.
Possiamo anche immaginare che abbia amato la scuola, non perché avesse una natura speciale, ma perché la scuola è un’esperienza che non si può non amare, per quanta fatica costringa a fare. È luogo dove si impara ad imparare. È il luogo degli incontri e dell’apertura alla realtà come aveva detto Papa Francesco, certamente uno dei più grandi fans della scuola che ci siano oggi sulla scena. «Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissimo!», aveva sottolineato Bergoglio nel 2014, parlando a studenti e professori. Davvero la scuola è più grande delle paure.