Il buco temporale nel quale ci siamo ritrovati ha la forma di un bruco che ha azzannato il passato e che ci sta spedendo in un futuro che non riusciamo a ben vedere. La paura, le ansie, il senso di inquietudine che nel quotidiano si insinua nelle nostre attività, dalle più semplici ed abitudinarie alle più complesse, ormai non sono più sensazioni esotiche di una fase ridotta e limitata, da vivere come una sorta di parentesi dall’ordinario, ma stanno diventando endemici.
La stagione che sta finendo è stata utile a rimettere in moto qualche parte del nostro passato modo di vivere, ma ha lasciato uno strascico, prevedibile, di nuovi casi di infezione che consolidano la sensazione di disagio che speravamo di abbandonare.
Tutto insomma cospira per tenerci ancorati, fermi, col fiato sospeso che precede il tuffo in attesa di incontrare il mare. Solo che il volo sta durando un po’ troppo e l’ansia dell’impatto sale. Aver congelato ogni scelta, dai licenziamenti ai debiti fiscali e bancari, ha avuto il merito di sedare il Paese e prendere tempo per ragionare sul futuro, con la speranza recondita che le cose, perché la natura benigna ricacci il virus o la scienza scopra il rimediato, sarebbero ritornate al prima in un breve lasso di tempo.
Anche la politica si è presa la sua pausa. Ha voluto portare il paese al voto su referendum e regioni anche se i numeri dell’affluenza, già scarsa, saranno ancor di più falciati dalla paura, senza fare la cosa più sensata e rinviare, assieme a tasse e licenziamenti, anche il voto all’anno nuovo. Ma serviva anche ai politici qualcosa da fare e così la prossima settimana sapremo quale Pirro rivendicherà la sua vittoria ballando sullo spoglio artificiale di una competizione che vede nella testa degli elettori tutti altri problemi. Del resto, vincere o perdere le regioni cambierà poco, visto il quadro, e ridurre o meno i parlamentari non cambierà il modo di fare le leggi e di governare. Gli esiti servono solo a motivare un rimpasto di Governo, che, pare, è già in programma.
Insomma, siamo nel pieno del viaggio temporale con il fiato sospeso, senza scegliere e decidere, illudendoci che quando tutto sarà finito i problemi si saranno risolti da soli.
In realtà il Wall Street Journal ha ricordato in settimana come, virus o non virus, le economie avanzate, tutte comprese la nostra, non hanno affrontato il problema della loro dipendenza dai lavoratori immigrati a basso salario per svolgere servizi essenziali. E che i numeri delle diseguaglianze continuano a segnare il divario tra aree geografiche e cittadini. Inoltre, la crisi del virus ha riportato in auge il tema della disinformazione e della educazione, su cui ancora poco si è fatto.
Nel mentre crediamo di viaggiare nel tempo, insomma, il tempo passa lo stesso e si acuiscono le questioni irrisolte su cui la politica non ha avviato una propria riflessione se non in termini di convenienza elettorale del momento. Tutto questo aggrava la crisi e rende urgente dei rimedi.
Come denunciato da Bonomi, mancano i decreti attuativi alle norme approvate dal Parlamento per superare la prima fase della crisi, e come più volte sottolineato, allo sblocco dei licenziamenti che è ormai prossimo, unito agli esuberi che lo smart working strutturale ha portato alla luce, la situazione sociale sarà esplosiva. Lo sarà più che nel nord nel Mezzogiorno, che di fronte a questa crisi si presenta come il malato più grave ma anche come l’occasione migliore per riattivare un nuovo percorso di sviluppo. Serve però ripartire, non solo fisicamente ma, soprattuto, sul piano della riflessione e delle scelte.
Un buon punto di partenza può essere il Piano Colao che, unito al piano per Mezzogiorno di Provenzano, può avviare una stagione di investimenti e di ripresa economica. Ad oggi non se ne vede all’orizzonte, però, neppure un’ombra.
Il Piano degli investimenti, le decisioni strategiche non sono state ancora assunte ed anzi, mancano i presupposti, poiché in Europa attendo ancora le schede per accedere ai soldi del Ricovery Fund. Senza quelle, e senza che l’Europa, nuova e generosa, dica che vanno per la strada giusta del riequilibrio sociale e territoriale, non si potranno assumere decisioni vere. Il sospetto che hanno in Europa è che si voglia usare la nuova finanza per fare regali elettoralistici e non per finanziare lo sviluppo. In pratica fare una finanziaria di mance e quote 100 e non di banda larga e infrastrutture. E questo non verrà consentito. Perciò il dubbio è che tutto questa inazione non sia frutto solo della non comprensione dei fabbisogni reali del Paese ma anche una strategia per scippare il consesso a norme di spesa che farebbero solo debito “cattivo” (non investimenti) e non debito buono, come Draghi ha ricordato.
Perciò ora che la stagione delle ferie e delle elezioni si avvia a conclusione, ora il Governo Conte deve dimostrare di avere le energie e le risorse per dare una accelerazione che risolva i problemi del Paese e del Mezzogiorno. E questo solo conterà per la sua sopravvivenza, molto di più dell’esito delle elezioni che serviranno, al massimo, come scusa.
Uscire la tunnel temporale del crisi pandemica e affrontare i temi veri e centrali del Paese è l‘unico modo per essere utili al Paese. Altrimenti, verrà altro, ed altri, a fare il lavoro che si deve.