Tra le tante sfide che la pandemia di Covid-19 in corso ci sta ponendo una delle più rilevanti riguarda certamente il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e la sua organizzazione. Di sanità si è parlato molto in questi mesi: dalla carenza di posti letto in terapia intensiva allo spostamento di pazienti in altre regioni (o, addirittura, nazioni), dalle esperienze (che senza tema di retorica potremmo di sicuro chiamare eroiche) del personale sanitario a quelle dei tanti pazienti deceduti (o ricoverati) senza poter essere accompagnati dalla vicinanza di parenti e amici, dalle polemiche sulle caratteristiche del virus e sull’andamento dei contagi al confronto tra le esperienze regionali (con un particolare accento critico verso il sistema lombardo e verso il ruolo della sanità privata), dal ruolo dello Stato centrale a quello (apparentemente) sussidiario delle regioni, e così via.

Ma della sfida che vogliamo mettere a fuoco in questo contributo, come si vedrà nel seguito, non si trova traccia né nelle narrazioni giornalistiche (e questo di per sé potrebbe essere spiegato dal ruolo che l’informazione ha scelto di assumersi in questa particolare contingenza, privilegiando il racconto quotidiano e il conteggio giornaliero degli eventi), ma neppure nelle tante parole spese dagli esperti (o almeno supposti tali) che sono intervenuti sull’argomento nelle tantissime occasioni (soprattutto televisive) che hanno caratterizzato questi lunghi mesi di pandemia.

Di quale Ssn abbiamo bisogno nei prossimi anni? Quali devono essere le sue caratteristiche organizzative per far fronte al meglio agli eventi sanitari (tipo di patologie) che si presenteranno? L’odierna pandemia è stata affrontata con il Ssn che abbiamo costruito in questi ultimi 50 anni e non c’è bisogno di essere fini programmatori sanitari per comprendere come la sua strutturazione sia risultata del tutto inadeguata ad affrontare la pandemia (soprattutto nei mesi di marzo e aprile, quando la situazione è risultata particolarmente difficile): e, poiché un Ssn non si cambia da un giorno con l’altro e richiede risorse ingenti per la sua trasformazione, stupisce che oltre alle necessarie riflessioni indirizzate alle attività per affrontare l’emergenza non si sia sviluppato un parallelo dibattito, serio ed esteso, sul Ssn di domani (un compito che non è inizialmente giornalistico, ma che necessita dell’intervento, anche di studio e analisi, dei tecnici).

Proviamo di seguito a offrire qualche spunto almeno per iniziare la riflessione.

Il dibattito culturale sui sistemi sanitari che si è sviluppato negli anni ’70 del secolo scorso ha sostanzialmente decretato la sconfitta delle malattie infettive e ha indirizzato in maniera forte i servizi sanitari (a prescindere dalla loro impostazione: universale o no, pubblica o privata,…) ad occuparsi della cronicità, per via dell’elevato aumento di frequenza riscontrato in diverse patologie che hanno questa caratteristica (malattie cardiocircolatorie, tumori, malattie respiratorie croniche…). Ed è proprio in tale contesto culturale e temporale che è stato costruito il nostro Ssn, la cui organizzazione (a prescindere poi dall’evoluzione che il Ssn ha avuto e dalle differenze regionali che ne sono conseguite) è stata decisamente orientata all’affronto delle malattie croniche, scegliendo come centro privilegiato della cura la struttura ospedaliera.

Non entriamo nel merito di una valutazione del Ssn che ne è emerso e delle discussioni che ha fatto sorgere (il ruolo della ospedalità privata, il rapporto tra Stato e Regioni e la definizione dei relativi compiti, l’andamento delle risorse messe a disposizione dallo Stato alle Regioni, il deficit accumulato dalle Regioni…), ma se dobbiamo provare a ripensare quali potrebbero essere le caratteristiche del futuro Ssn dobbiamo partire dalla stessa domanda che ci si è posti al sorgere dell’attuale Ssn: quali patologie dovremo affrontare nei prossimi anni? verso il trattamento di quali malattie dovremo orientare il nuovo Ssn? quali sono gli elementi organizzativi di rilievo che dovremo predisporre? E così via.

Perché la discussione possa essere proficua dobbiamo innanzitutto considerare almeno tre dati di fatto:

1) è enormemente aumentata la quota di popolazione anziana (a prescindere dalla scelta della età con cui caratterizziamo tale popolazione: 65 anni, 75, oltre), e una buona parte di tale popolazione convive a lungo con patologie che ne riducono l’autonomia e che non necessitano di cure ospedaliere (e quindi tutto il carico assistenziale finisce col ricadere sulla famiglia o su strutture specializzate di assistenza);

2) è altrettanto in aumento la frequenza di patologie croniche (cardiocircolatorie, respiratorie, oncologiche…) che con le cure a disposizione portano a significativi allungamenti della vita in condizioni spesso di disabilità (di vario tipo);

3) gli anni che stiamo vivendo (almeno quelli di questo secolo) hanno dimostrato che non solo le malattie infettive non sono state sconfitte, ma si presentano con una periodicità che sembra in aumento e una diffusività piuttosto estesa (e non è solo il caso della pandemia in corso).

Certo ci sono anche molti altri elementi che stanno emergendo e caratterizzando il mondo della sanità, come il ricorso sempre più massiccio alla medicina difensiva, il cosiddetto “prestazionismo” (cioè l’eccessivo utilizzo di prestazioni ambulatoriali), l’empowerment del cittadino anche grazie ai nuovi sistemi informativi elettronici (internet), la rinuncia alle cure di famiglie che vivono una situazione economica disagiata (nuovi poveri), l’ammodernamento degli ospedali, la carenza di personale sanitario di tutte le categorie, e l’elenco potrebbe continuare a lungo, ma i tre dati di fatto che abbiamo evidenziato ci sembrano quelli maggiormente rilevanti per il disegno del Ssn dei prossimi anni.

Se quello appena descritto è lo scenario che ragionevolmente caratterizzerà dal punto di vista sanitario i prossimi anni, non v’è dubbio che allora il futuro Ssn dovrà essere capace di rispondere adeguatamente a tutte e tre queste esigenze. Come? Qui si apre il dibattito, che dovrà considerare almeno i seguenti elementi: ha ancora senso la separazione oggi in atto in molte regioni tra sanità e assistenza (socio-sanità)? quale ruolo dovranno giocare la medicina di base e quella territoriale? che funzione dovranno svolgere gli ospedali di domani? di quale organizzazione sanitaria (luoghi, strumenti, competenze…) avremo bisogno per affrontare la prossima pandemia? E’ possibile un approccio sussidiario in sanità?

Per chi se la sente la sfida è aperta, anche se (probabilmente) la pandemia occuperà le nostre attività ancora per molto tempo.