Madrid è diventata la ground zero europea nella seconda ondata del Covid. Con un tasso di incidenza (positivi ogni 100.000 abitanti) al di sopra dei 700 casi, il Governo di Sánchez e il Governo della Comunità Autonoma continuano a impelagarsi in una sterile polemica. A differenza di quanto succede a New York, Milano o Venezia, si sono ripetuti gli errori della prima ondata: pochi test, pochi tracciamenti. Non c’è stata un’adeguata campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. I madrileni e gli spagnoli nel loro complesso sanno che la gestione politica è stata inefficace. Dallo scorso marzo, i sondaggi indicano una scarsa fiducia nel Governo centrale che, nelle ultime settimane, è diminuita notevolmente: solo un 22% considera positivamente il suo operato. Il giudizio sui Governi regionali era, fino al mese di giugno, in area positiva, ma a settembre è precipitato a livelli molto simili a quelli dell’Esecutivo di Sánchez.
La cosa più sorprendente, però, è il crollo nella fiducia della società in se stessa. Nel pieno della prima ondata, quando gli ospedali erano strapieni e gli spagnoli potevano salutarsi solo attraverso le finestre, l’80% premiava il senso di responsabilità dei cittadini e la risposta che veniva dal basso. Ora, questo apprezzamento è sceso al 22%. Il virus non ha solo preso più di 50.000 vite e causato una recessione storica, con una caduta del Pil nel secondo semestre del 17,8%, ma nella vita sociale è avvenuto ciò che qualche mese fa Sandra J. Sucher, sulla Harvard Business Review, definiva “una crisi di fiducia” per descrivere il cancro che mina il mondo degli affari.
Sucher denunciava il male delle grandi imprese multinazionali del XXI secolo, impegnate a rispondere ai bisogni dei propri dipendenti, investitori e consumatori senza però saper guadagnare la loro fiducia. La distruzione della fiducia è distruzione del capitale sociale, è il non poter sapere di chi mi posso fidare. E non fidarsi di nessuno è una patologia.
La crisi di fiducia non è solamente uno degli effetti secondari della pandemia, era già un male prima dell’arrivo del virus. L’Edelman Trust Barometer del 2020, un classico in materia, rivelava che, malgrado la forza globale dell’economia (è stato pubblicato in gennaio), né i governi, né le imprese, né le Ong, né tantomeno i mezzi di comunicazione, erano considerati affidabili. La sfiducia era alta soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, perché consideravano il modello attuale di capitalismo fonte di diseguaglianza. Colpisce, tuttavia, che gli autori del barometro ritenessero paradossale che con un’elevata crescita economica ci potesse essere sfiducia. Come in molta letteratura economica, non facevano distinzione tra crescita e sviluppo.
Né una certa destra liberale classica, né una certa sinistra statalista classica sembrano capire che la crescita o le politiche di benessere sociale non sono capaci da sole di produrre uno sviluppo integrale. La fiducia rimane sempre fuori dal discorso, al massimo si pone come un fattore etico esterno che deve correggere gli errori del sistema.
Quello che è successo in Spagna negli ultimi anni mostra le conseguenze negative di una crescita che non si è basata sull’inclusione del lavoro, su politiche pubbliche che promuovessero la responsabilità personale e sociale, che incrementassero il capitale sociale. Negli ultimi anni, i tassi di aumento del Pil sono stati tra il 3,8% e il 2,0%, ma non si è creato sufficiente impiego: il tasso di disoccupazione giovanile ha continuato a essere uno dei più alti in Europa. Senza dubbio come conseguenza della struttura produttiva, della regolazione del mercato del lavoro, ma anche dei cattivi risultati del sistema di insegnamento e della distruzione di capitale sociale (coesione sociale, familiare, uguaglianza di opportunità, ecc.). Non è certo, come dice la destra, che la miglior politica per creare occupazione sia solo la crescita, né è certo, come dice la sinistra, che la miglior politica sia solo aumentare la spesa sociale. Crescita e spesa sociale sono necessarie, ma la spesa sociale senza sviluppo del soggetto non aumenta la responsabilità e tende a generare una cultura del sussidio.
Stephen Knack, uno degli economisti capi della Banca Mondiale, ha dimostrato qualche anno fa fino a che punto la fiducia influisce sulla crescita economica. Kenneth Newton, nel suo Social and Political Trust, pubblicato qualche mese fa, tenta di identificare l’origine di questa fiducia sociale, così necessaria, e stima che la soddisfazione personale e il coinvolgimento in attività civiche generano un 15% della fiducia in altre persone. E il resto? Probabilmente ha a che vedere con l’uso della ragione: la fiducia è un caso di ragione applicata. Senza il recupero della capacità di sapere di chi possiamo fidarci e perché, la ricostruzione si fa più difficile.