Nei Vangeli di Luca che abbiamo ascoltato in questi giorni di Natale ricorre un dettaglio di tempo che è interessante sottolineare: la frequenza dell’avverbio “oggi” (devo questa sottolineatura all’omelia del mio parroco, don Marco). È l’“oggi” dell’annuncio dell’Angelo ai pastori. Ed è l’“oggi” con il quale nella sinagoga Gesù annuncia il compimento della promessa e di fatto l’inizio della sua attività pubblica: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che avete ascoltato”.
Ma Luca in tanti altri passaggi del suo Vangelo insiste su questa puntualizzazione di tempo: nella pagina di Zaccheo, nel rinnegamento di Pietro e con il buon ladrone in croce (“Oggi sarai con me in Paradiso”). “Oggi”, non domani: il tempo di Gesù è sempre il presente, perché reale. La promessa non è un “accadrà” ma un “sta accadendo”. Gesù non rimanda, non lascia mai in sospeso. L’“oggi” è infatti il tempo proprio dell’incontro, che è la dinamica concreta attraverso la quale il cristianesimo si è reso presente: l’incontro non è esperienza che si possa mettere in preventivo e quindi tanto meno “in agenda”. L’“oggi” è la concretezza della cosa che accade, sperimentabile, affidabile. Toccabile con mano, quindi verificabile. L’“oggi” è anche la collocazione di un fatto in un momento preciso della storia, in un giorno, in un’ora. Lo è persino per il buon ladrone che in teoria, andando in Paradiso, dovrebbe superare le logiche del tempo. Eppure l’“oggi” è così carico di promessa che sta dentro anche l’eternità…
Sono suggestioni da semplice fedele, sono spunti che per vocazione mi è venuto naturale riportare sul terreno che mi è più proprio, quello della storia dell’arte. Perché l’“oggi” segna una linea precisa dentro il grande percorso dell’arte italiana. È quella linea che parte con Giotto, transita per Masaccio e Donatello e arriva a Caravaggio. Sono artisti che hanno un fattore in comune, pur nella distanza di tempo, di temperamento e di cultura: rappresentano i fatti di mille e passa anni prima, come se accadessero al loro tempo. Annullano la distanza, sia temporale che fisica.
È tale la forza di questa evidenza che loro mettono in atto con i rispettivi capolavori, da rivoluzionare il cammino stesso della storia dell’arte. L’energia reale del fatto rappresentato si travasa in novità di forme, diventa novità imprescindibile per chiunque dipinge e scolpisce. “Ogni composizione”, ha scritto Roger Fry rispetto a Giotto, “colpisce per una scoperta, allo stesso tempo semplice e inevitabile, che si coglie all’istante e che pure non si può del tutto prevedere”. In Masaccio tutto accade in spazi moderni, contemporanei; spazi di città “dove gli uomini abitano e agiscono”. In Donatello la dimensione del presente è talmente febbrile da rendere fremente persino il bronzo. Infine Caravaggio, per il quale Roberto Longhi, grande storico dell’arte, non trovò miglior chiave critica che quella dell’avverbio di tempo da cui abbiamo preso avvio: “Oggi”.
Nell’introduzione alla grande mostra che rivelò la grandezza di Caravaggio al mondo, nel 1951, davanti ai quadri di San Luigi dei Francesi, lui, spirito assolutamente laico, scrisse che la forza della Chiamata di Matteo era quell’aver dipinto Cristo che “entra oggi nella stanza della dogana e chiama Matteo” distogliendolo dal suo daffare. E il corsivo voluto per quell’“oggi”, non è mio ma suo…