Per dare un contributo costruttivo al dibattito in corso sulla possibile riconfigurazione o trasformazione del SSR lombardo provo a formulare alcune riflessioni con una prospettiva leggermente diversa da quella fino ad oggi battuta dal contesto tecnico e mediatico.

La premessa da cui parto è che, come riconosciuto da decenni di studi di political science e organizzazione, costruire un sistema istituzionale-sociale quale un SSR è sempre e comunque un “esperimento” organizzativo, frutto di convergenze tra diverse razionalità (politiche, istituzionali, sociali, professionali, territoriali ecc.) tutte con una qualche legittimità ad essere rappresentate nel percorso di scelta. Esperimento quindi complicato e complesso, i cui risultati finali non sono mai “finali”, ma sempre un punto intermedio di un percorso in divenire essendo il frutto di valutazioni che non hanno una base “meccanicistica” (faccio A e quindi ottengo B) e mutando nel tempo le condizioni ed il contesto su cui inizialmente erano state progettate e disegnate le scelte.

Pertanto, è normale, e non patologico, che i risultati di scelte organizzative prese in un dato momento e su specifiche premesse possano non essere quelli attesi, sia per modifiche intervenute nel contesto ambientale di riferimento, sia per carenze o deviazioni nel processo implementativo.

Tutto questo per sottolineare che i risultati registrati post ultima riforma del SSR Lombardo “naturalmente” possono essere inferiori alle attese, si tratta di capire se serva una modifica strutturale perché il contesto è mutato sostanzialmente e le premesse della stessa riforma sono venute meno, o se sia più indicato cercare un intervento implementativo più incisivo sostenuto da una maggiore chiarezza di ruoli e compiti.

Fermo restando che un cambiamento strutturale è sempre possibile, lungi negare qui la possibilità che chi ha la responsabilità di governo voglia optare per un intervento radicale,  a parere mio, non essendo mutate in modo sostanziale le condizioni e le premesse fondative della legge 23/15 – cronicità, fragilità, il grande anziano, la centralità dei servizi territoriali, gestione della salute opposta ad un sistema “prestazionale”, ecc. rimangono le sfide di oggi, domani e dopodomani, pur riconoscendo ovviamente la crisi Covid-19 e le “lezioni” ed accelerazioni che ne sono conseguite – concentrerò l’attenzione sugli interventi di manutenzione straordinaria del SSR a carattere “implementativo” piuttosto che trasformativo.

1. Serve la costruzione di una visione di sistema oltre la cronicità. La legge 23 ha “settorializzato” il pensiero e l’attenzione. Era necessario per dare impulso al cosiddetto “territorio”, alla continuità, alle cure primarie, ma ora serve una visione più inclusiva, che valorizzi tutte le eccellenze del SSR, dall’ambito ospedaliero alla ricerca, dall’industria del settore della salute al terzo settore. Serve un piano socio-sanitario che sia ambizioso e di ispirazione. Che sia non solo di sistema, ma di settore. Agile, comunicativo e narrativo. Un piano espressione dell’orgoglio di un sistema che ha tra aziende pubbliche e private, tra terzo settore ed industria, tra università e IRCCS delle eccellenze di livello mondiale. Un progetto a 360°. Non è possibile dare sviluppo al SSR Lombardo solo con le “regole di sistema”, senza distinguere priorità strategiche da azioni operative;

2. Serve un potenziamento importante dell’assessorato welfare e forse una sua riconfigurazione interna in aree di responsabilità coerenti per presidiare l’implementazione dei processi di riforma e cambiamento piuttosto che le categorie logiche tradizionali della sanità. Serve un assessorato che lavori per progetti, con una forte accountability l’organizzare e supervisionare il lavoro di coordinamento tra le aziende, che abbia una linea di governo e “rendicontazione” sui territori attorno a cui sono pensate le trasformazioni del SSR (reti ospedaliere, coinvolgimento dei MMG, attuazione processi di presa in carico). Una struttura centrale che con metodo e continuità sia messa nelle condizioni di sviluppare la funzione di steering sistema, coordinando ed indirizzando anche il lavoro delle agenzie “tecniche” che svolgono funzioni a supporto del governo del SSR. In altri termini, potrebbe essere necessaria una significativa riorganizzazione interna del Welfare, per definire chiare responsabilità di attuazione dei processi di riforma e di presidio dei territori. Se necessario anche cercando istituzionalmente di svincolare l’assessorato dal quadro normativo Regionale e portarlo sono le regole SSR, per renderlo più “attraente” sotto il profilo lavorativo e facilitare comandi e collaborazioni con le professionalità aziendali;

3. Occorre consolidare e sviluppare la politica di costruzione delle reti tra ospedali, sia nella prospettiva delle reti hub&spokes che delle reti cliniche per patologia. Potrebbe servire anche qui un piano complessivo, arioso ed inclusivo, che contempli pubblico e privato, e che disegni reti di livello regionale ma al tempo stesso spinga la collaborazione si territori definendo i perimetri di programmazione in funzione delle aree “gravitazionali” dei potenziali pazienti;

4. Serve un diverso patto ed ingaggio della medicina generale. Ma soprattutto un atteggiamento diverso del SSR nei loro confronti. Al di là delle questioni istituzionali e contrattualistiche che alimentano il dibattito sul ruolo della MMG, e fermo restando la loro indiscutibile centralità, a mio parere vi è una urgenza che viene prima di tutto il resto. Non possiamo permetterci di sbagliare nel modo con cui introdurremo i futuri MMG (qui di seguito con MMG intendiamo anche i PLS) nel SSN e nel come ci relazioniamo con quelli già operanti. Svelo il mio pensiero. Non sono dipendenti, ma per le aziende dovrebbe essere come se lo fossero. Dovrebbero essere gestiti come dei dipendenti. Con la stessa attenzione e continuità. Ad esempio, organizzando uno specifico sistema di governance ristretta ed allargata molto più strutturato e continuo rispetto all’intermittenza di quelli attuali. Offrendo simboli e loghi aziendali per le sedi dei MMG. Promuovendo una comunicazione istituzionale dell’attività dei MMG, di cosa fanno, alla pari di quanto avviene con la comunicazione aziendale, i giornali e gli organi di comunicazione aziendali. Istituendo premi aziendali per i MMG che si distinguono, parlando loro come se parlassimo ai dipendenti, informandoli, coinvolgendoli molto di più e ben oltre gli obblighi formali. In altre parole, sviluppando una politica e strategia chiara e robusta di inclusione e gestione dei MMG (e PLS) nei processi aziendali. A partire dai processi di inserimento. Se non li trattiamo come i dipendenti, perché dovrebbero sentirsi di appartenere all’azienda? Tutto questo ovviamente presume che sia sciolto il nodo di chi ha la responsabilità su quanto sopra tra ATS ed ASST, fermo restando l’attuale sistema. A mio parere dovrebbero essere le ASST gestire il rapporto con la MMG, perché sono parte fondamentale della filiera di produzione.

5. Ancora, servirebbe una politica concreta altrettanto ambiziosa sulla digitalizzazione e tutta l’area ICT (inclusa la telemedicina, il telemonitoraggio ecc.). Con un coordinamento forte a livello regionale, sotto un Welfare che costruisca la strategia, la road map e le comunità di pratiche tra le aziende. Nonché crei le condizioni per un dialogo costruttivo con l’industria, favorisca l’avvio di sperimentazioni, renda il SSR un luogo privilegiato di sviluppo di visioni, azioni e trasformazioni legate alla sanità digitale. Per accelerare una “trasformazione” che non può non vedere l’SSR Lombardo in prima linea.

Alcuni altri temi potrebbero essere evidenziati, ma per limiti di spazio mi fermo qui. Per concludere, credo che assieme ad una riflessione certamente legittima e dovuta sulla necessità di una ristrutturazione più o meno profonda del SSR lombardo sia importante fin da subito dare “slancio” al sistema con una serie di interventi di fine tuning della riforma prevista dalla legge 23/15, una narrazione forte delle eccellenze del sistema, una (ri)costruzione di orgoglio ed identità attorno ad un piano di sviluppo ambizioso, un assessorato Welfare più pronto a svolgere la funzione fondamentale di steering più organizzato per presidiare i “cantieri” del cambiamento.