“Riflettere vuol dire, dopo aver contestualizzato, provare a comprendere, a vedere quale può essere il significato, quali le prospettive” (Edgar Morin)
In questo periodo da più parti si sente dire che dobbiamo immaginare una nuova normalità e che questa è l’urgente necessità che la pandemia Covid-19 ha reso evidente perché, come diceva Giovanni XXIII “non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare”. Molti esperti della sanità pubblica propongono quindi alla politica, per il nostro e unico Ssn una nuova normalità, sostenendo che la pandemia Covid-19, come una cartina di tornasole, ha evidenziato in maniera oggettiva i limiti e un punto di non ritorno.
Parto da una considerazione semplice ma non scontata: la pandemia Covid-19 è una situazione straordinaria e imprevedibile e la riprova di ciò è la modalità di come ha colpito in maniera democratica tutti i sistemi sanitari dei diversi paesi (dopo 10 mesi le statistiche sono lì da leggere).
Anche in passato abbiamo avuto condizioni simili che però sono state tenute sotto controllo per qualche mese, come per esempio Sars, Mers, influenza aviaria, influenza suina, Ebola e Zika, la cui diffusione è quindi stata contenuta. Con Covid-19 non è però avvenuto lo stesso ed è esplosa la pandemia a livello mondiale, con la Lombardia e l’Italia a fare da apripista (purtroppo). E così, come uno sport nazionale, con i talk show a farla da padrone, sono partite le classifiche fra le regioni, i confronti, gli scontri, le grida allo scandalo, ma se qualcuno avesse avuto l’onestà di guardare i dati, almeno fra le nazioni occidentali, si sarebbe accorto che la pandemia Covid ha messo sì a dura prova il Ssn italiano, ma nel mondo la nostra esperienza sul campo è stata osservata per ricavarne modelli per riorganizzarsi.
I dati relativi ai contagi, la velocità di diffusione del virus Covid-19, il numero dei paesi e dei continenti interessati, hanno mostrato che la salute ha carattere individuale, locale, nazionale e globale, ma è anche legata ai comportamenti, alle abitudini, agli stili di vita oltre che alla disponibilità dei vaccini. La pandemia ha anche evidenziato quanto le nuove tecnologie, e-health e telemedicina, siano importanti e utili nei processi di cura e sia possibile superare la ritrosia al loro utilizzo. Questo riconferma, almeno per l’Italia, come la presenza di un sistema sanitario pubblico e universalistico sia fondamentale rispetto agli esiti di salute, di malattia e di mortalità, indipendentemente dal modello sanitario delle diverse Regioni, confermandolo comunque come risorsa centrale, ben oltre gli errori e i limiti dei singoli casi.
Comunque i limiti e gli spazi di miglioramento del nostro Sistema sanitario nazionale erano già ben noti, anche prima della pandemia. Oggi tutti stanno sottolineando l’importante sottofinanziamento pubblico del Sistema sanitario nazionale (come se fosse solo una questione di soldi, anche se sempre necessari), ma pochi ricordano che nell’ultimo quinquennio sono stati emanati importanti e innovativi provvedimenti nazionali in differenti ambiti che hanno visto o avrebbero dovuto vedere ricadute nei diversi sistemi regionali, come, per esempio, il regolamento sugli standard ospedalieri (Dm 70 del 2 aprile 2015); il Piano nazionale della cronicità (Accordo Stato-Regioni del 15 settembre 2016) e la piena realizzazione della continuità assistenziale ospedale-territorio; l’ingresso dell’assistenza socio-sanitaria nella rete integrata di servizi con la valutazione multidimensionale ed elaborazione di un piano personalizzato delle prestazioni da parte dell’équipe responsabile della presa in carico dell’assistito; l’assistenza territoriale con le Unità complesse di cure primarie (Uccp) e Aggregazioni funzionali territoriali (Aft) al fine di garantire la continuità dell’assistenza e le cure domiciliari; per finire con l’aggiornamento dei Lea (Dpcm del 12 gennaio 2017); l’accesso dei cittadini ai farmaci innovativi e l’aggiornamento del nomenclatore tariffario protesi e ausili (Dpcm 12 gennaio 2017).
Entrati in un nuovo anno, mai tanto desiderato da più parti, si sottolinea la necessità di una nuova governance del Sistema sanitario nazionale, supportato da un pensiero diffuso che il sistema ospedaliero (in buona parte del territorio italiano) ha retto perché, per definizione, è un sistema “organizzato”, mentre la “Caporetto” del territorio è avvenuta anche perché (in buona parte del territorio italiano) non c’è stata alcuna struttura in grado di dare organizzazione al territorio.
Tanti sono gli ambiti e gli argomenti su cui soffermarsi, ma personalmente ne sottolineo solo alcuni:
1) Assistenza ospedaliera: una corretta applicazione territoriale del Dm 70/2015 (anche se oggi con il Covid qualcuno chiede più posti letto), una diffusa applicazione sul territorio nazionale delle reti tempo-dipendenti e delle reti cliniche di patologia permetterebbero al nostro sistema ospedaliero di raggiungere ottimi livelli di efficienza;
2) Piano nazionale della cronicità: una sua corretta e diffusa applicazione garantirebbe con l’elaborazione di un piano personalizzato delle prestazioni da parte dell’équipe responsabile della presa in carico dell’assistito la tanto attesa continuità assistenziale ospedale-territorio; in questa direzione la Legge 23/2015 di Regione Lombardia ha in sé numerosi spunti positivi e innovativi (anche se da più parti si pensa il contrario);
3) Cure primarie: il tema non è tanto quale ruolo deve giocare all’interno del modello organizzativo nazionale o regionale, ma come deve essere messa nelle condizioni di prendersi cura della cronicità (vero asset portante per i Mmg); e anche la riproposizione dei Distretti, se ancorati a un retaggio del passato, sono solo una partizione territoriale (un’altra struttura fisica). Condivido quanto già scritto da Marco Magri: “bisogna ripensare invece a come supportare al meglio il lavoro del medico di famiglia all’interno di un sistema organizzato e innovativo”;
4) Digitalizzazione: se ne parla da troppo tempo e forse con soluzioni già vecchie; nel terzo millennio gli ospedali non possono non avere una cartella clinica informatizzata (forse varrebbe la pena nei prossimi due-tre anni di investire meno in edilizia e più in informatizzazione totale del processo diagnostico-clinico-terapeutico-assistenziale). Solo così il Fse (vera innovazione) passerebbe da poco utile documento in pdf a vero strumento per Mmg e gli altri livelli dell’organizzazione sanitaria. A questo punto l’introduzione di innovazioni digitali ma di provata efficacia (e-health, telemedicina, ma anche big data) porterebbero a migliorare accessibilità, equità ed efficienza in sanità.
A questo punto, dal momento che non possiamo predire il futuro, non ci resta che inventarlo. I livelli sono tanti – nazionale, regionale, aziendale, territoriale – con ruoli e responsabilità diverse. Questo significa dare spazio alla creatività, valorizzare le risorse che l’uomo ha in sé (indipendentemente dal suo ruolo), nel suo corpo, nella sua mente, nel suo spirito per creare futuro. Non parlo, dunque, solo del futuro del Sistema sanitario nazionale, ma del lavoro (interiore) che crea futuro.