L’equilibrato esercizio del potere che in questi giorni il Paese sta sperimentando è una novità assoluta del nuovo millennio. Abituati ad una retorica che ha esaltato la dinamica del rapporto tra la popolarità dei sondaggi e la legittimazione ad ottenere privilegi e potere, i cittadini hanno per due decenni assecondato questa spirale, abbagliati da efficaci tattiche di comunicazione. La deriva propagandistica ha premiato i più abili a cercare il consenso politico, di volta in volta, attraverso toni esagitati e iperboli narrative per istigare paura, precarietà, sdegno. Tutti sentimenti viscerali e sconnessi dalla razionalità. L’acme è stata la messa in scena della crisi pandemica narrata con tempi da reality, liturgie e comunicati imperdibili in primis, che hanno riempito i mesi più bui.

È apparso a tanti moderno quel periodo, ed a tratti efficace, sennonché, smontate le quinte della scena, è apparsa solo un’insipiente narrazione. Al confronto, l’arrivo di Draghi è apparso come passare dal glorioso fumetto di Topolino alla lettura del primo Tolstoj. Un’emozione che porta all’età adulta. E la maturità è arrivata sul più delicato dei temi. Ritengo che la scelta di perseverare sul green pass, mantenendo fissa la data ed i metodi di accesso, sia la scelta più opportuna e razionale. E perciò la migliore. Il Paese non è esploso. Draghi non si è rotto il collo e la piazza mediatica ha fatto un ennesimo percorso di scollamento dalla realtà. Nessuna ribellione di massa nel Paese e tantomeno nell’indisciplinato Mezzogiorno che ha gestito il green pass con saggezza popolare autentica.

Nel frattempo, però, altro è accaduto in queste settimane. Quattro ventenni ammazzati per droga nel napoletano come dei boss, comuni da centomila abitanti sciolti per criminalità organizzata e sotto tutela del ministero degli Interni, almeno quattro diverse esplosioni che hanno devasto piccoli negozi nel napoletano e la notizia ampiamente confermata del pizzo chiesto sistematicamente a tutti i cantieri aperti grazie al bonus ristrutturazioni.

In pratica, mentre i manifestanti agitavano le braccia contro i dominatori mascherati del mondo, gli eversivi veri e strutturali si stanno riprendendo il Mezzogiorno. Non sfugga che bombe, pizzo sui cantieri e sparatorie per strada sono un linguaggio antico che parla degli anni 80 del secolo scorso. Questo linguaggio, infatti, è l’unico conosciuto da una leva esperta di eversori dello Stato di diritto che si fanno chiamare mafiosi, camorristi o ndranghetisti. Tutti beneficiati dalla clemenza pandemica con permessi e sconti di pena che li hanno riportati per strada. Se di questi molti avranno cercato il pane tra le fatiche del quotidiano, molti altri sembrano invece tornati a metodi e stili vita criminale usuali.

La loro uscita, senza pentimento e redenzione, inietta nel meridione un veleno potente e subdolo che sta lentamente ammalando un corpo già provato dalle crisi. Ovunque si sussurra che i boss sono tornati, che gli affiliati sono famelici e che i territori sono oramai sempre più, di nuovo, cosa loro.

Ma questi eversivi non fanno audience e non servono alla narrazione politica, sanno di stantio e di vecchio, ci riportano ad anni in cui tutto è già visto. I cortei, le fiaccolate, i Libero Grassi, i Livatino, il potere dei clan. Tutto noioso come un vecchio film di quegli anni la cui trama sembra troppo inconciliabile con il tempo di internet e della Gig economy. Ma quegli eversivi sono i nemici veri, antichi, il vero serpente velenoso. Che non si dipinge la faccia e che non urla, ma cerca il potere e l’arricchimento.

Il potere vero del Governo, quello di questi mesi, silenzioso ed efficace, impersonato da Draghi con sicurezza, deve occuparsene nella sua interezza. È tempo di portare rigore e serietà senza annunci, di prendere provvedimenti forti senza la clemenza autoassolutoria del post pandemia, di rispedire in carcere i criminali e ricacciare indietro il passato del pizzo, delle bombe, degli agguati, dell’infiltrazione nello Stato. Di fare al Mezzogiorno il vero regalo, liberandolo dal giogo criminale e ambire davvero a concludere in gloria il suo lavoro nei prossimi anni. Perché la gloria vera si scrive in silenzio ed è fatta di opere, non di parole, come diceva Schopenhauer. E se sarà gloria o meno, solo Draghi può deciderlo.