Il seme del dubbio cresce forte quando è alimentato da ipocrisie e incongruenze. Ogni volta che si riflette su ciò che è reale e ciò che tale solo appare ma non è, ogni seme si trasforma in pianta fino a divenire una solida certezza.

Per anni abbiamo alimentato la speranza che si mettesse mano alle scelte di fondo del Paese senza riserve mentali. Esponendosi e lottando senza valutare il tornaconto del breve periodo. In particolare, chiedendo alle istituzioni e alle parti sociali di prendere una via univoca per affrontare il tema storico del Paese, ovvero la strada che porta all’unità economica e sociale del Mezzogiorno con il resto d’Italia.

Pare che queste settimane siano proficue. Prima Draghi ha ammesso la questione meridionale come centrale nel suo discorso agli industriali, definendo “condannati” i cittadini del Mezzogiorno. Ora Bonomi e la sua Confindustria si espongono costruendo una narrazione nuova che parte della coesione territoriale come necessità condivisa.

A Napoli in questi giorni, su iniziativa di Vito Grassi, vicepresidente nazionale di Confindustria, si sono alternati governatori, ministri, rappresentanti territoriali degli industriali che hanno tutti, in modo inequivocabile, abbracciato la causa della coesione territoriale tra Sud e Nord. È sparita la questione settentrionale, che ha per decenni animato un pezzo di establishment, e si è ripresentata l’antica questione di come agire nel Mezzogiorno.

È stato utile, anzi necessario, che pubblicamente tutti costoro si siano messi in fila per dare la loro opinione. Così facendo testimoniano che il tema esiste e che nessuno può sottrarsi. Una promessa pubblica, per un uomo probo, è più di un contratto. Così almeno per la tradizione, che ai patti tra gentiluomini riservava l’obbligo come conseguenza anche se privi di firma. Perciò devono, tutti coloro, ritenersi vincolati con l’onore alle ampie garanzie offerte di collaborazione e interesse. Per far sì che vi sia una svolta concreta nelle politiche economiche del Paese e che si parta, e non si abbia solo generica attenzione, dalle necessità dei cittadini e delle imprese del Mezzogiorno.

Sin qui il rito. Si badi che Confucio predicava ai governanti l’importanza dei riti e della loro solennità come manifestazione non solo di potere, ma soprattutto del proprio solenne impegno. Per cui è stato un evento necessario storicamente, quello promosso da Confindustria, le tantissime presenze di esponenti situazionali elidono ogni dubbio sulle loro intenzioni. Resta però da mettere alla prova quanto emerso dal rito.

In primo luogo, non sfugge che sui tavoli del Governo la partita per i fondi tra le regioni è infuocata. I conti non tornano. La dotazione finanziaria complessiva messa a disposizione delle regioni meridionali è sensibilmente inferiore a quella che spetterebbe se davvero si rispettassero gli obbiettivi e le necessità che hanno motivato l’Europa a darci molte più risorse che ad altri. Economisti, governatori e addetti ai lavori lo predicano da mesi.

Seconda questione: la reale percezione dell’urgenza di alcuni interventi. Il livello dei servizi minimi è sprofondato in questi mesi. Attendere ancora aumenta sofferenza e divari. Tra le riforme necessarie al Paese quella della burocrazia è la più impellente. Se si seguissero i tempi medi, anche non quelli tragicamente lunghi, ci vorrebbero anni per assumere, affidare appalti, avviare cantieri, il tempo è ormai in fisica un valore non più assoluto ma percepito. Due anni in questo stato di abbandono, in attesa che diventino concreti gli interventi, sono intollerabili per i “condannati” di Draghi e rischiano di scavare un solco ancor più profondo.

Infine, trovare un equilibrio accettabile tra assistenza ai deboli e capacità di integrare forza lavoro tra i milioni di cittadini inoccupati rischia di essere la prova più difficile. In questo periodo di grigio diffuso molti occhi si chiudono sull’abuso di chi continua a percepire reddito non dichiarato mentre è assistito. Se non si troverà una soluzione definitiva e accettabile, la ripresa rischia di infrangersi per carenza di risorse umane qualificate. Troppi sono ancorati al retaggio di un mix fatto di assistenza e lavoretti con cui molte generazioni hanno convissuto.

Il tutto, nel suo protrarsi, svuota il Mezzogiorno delle risorse migliori che emigrano lasciandosi indietro territori abbandonati, come le aree interne, o depauperati sul piano delle risorse umane.

Quando arriveranno le risposte? Certo non lo si può chiedere a chi come Confindustria ha posto le domande giuste. Ma la sorte ha voluto che a guidare il Paese vi sia oggi una classe dirigente che, per quanto algidamente formata sui numeri, si professa e si mostra pienamente consapevole del ruolo storico che le viene affidato.

Se deciderà di abbandonare le ipocrisie di facciata, utili solo in fase elettorale, e metterà mano ai problemi reali, allora i dubbi verranno spazzati via e avremo per davvero voltato pagina.

Quelli che potremmo attenderci, legittimamente, sarebbe una nuova fase del Paese, che liberi risorse e dia futuro alle generazioni a venire. E di questo ci si dovrebbe occupare quando chiamati ad incarichi di prestigio.

Nel frattempo è utile coltivare il seme del dubbio e sperare, però, che venga sovrastato da fatti e risultati di portata tale che diano la netta percezione che, oltre un rito ben riuscito, ci sarà a breve anche un esito tanto atteso. Se così fosse, Confucio, da saggio, darebbe il suo plauso.

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