Le immagini non erano contraffatte, ma quelli fotografati non erano di camion di decontaminazione. Le foto che Colin Powell mostrò nel febbraio del 2003 al Consiglio di sicurezza dell’Onu erano di camion di pompieri. Saddam non possedeva armi di distruzione di massa. All’ex Segretario di Stato scomparso di recente toccò recitare uno dei ruoli peggiori per giustificare la Seconda Guerra del Golfo.

Powell, che nel 2000 aveva terminato una lunga e brillantissima carriera militare, era in effetti contrario a un intervento come quello avvenuto in Iraq, perché considerava la forza come l’ultima istanza, da usare solo con un grande appoggio popolare e in situazione di netta superiorità. Fino all’11 settembre 2001, anche il Presidente Bush non era a favore di una politica estera interventista e quella guerra, che non era l’ultima istanza, finì per alimentare un forte pacifismo soprattutto in alcuni Paesi europei. La difesa e la critica dell’invasione, spesso lontane da ogni pacato ragionamento, diedero inizio a una polarizzazione che è continuata da allora.

Powell, che avrebbe potuto essere il primo Presidente nero degli Stati Uniti, non voleva iniziare il conflitto: lo chiesero i neocon, molto influenti nell’Amministrazione Bush, e il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. La sinistra sostenne, per un certo periodo, che l’invasione dell’Iraq fu fatta perché gli Stati Uniti volevano impadronirsi del suo petrolio. Niente di più lontano dalla realtà. L’intervento fu una specie di “apostolato democratico”, di lotta per i valori occidentali.

Quando si parla di neocon si pensa che fossero e siano l’opposto della sinistra. Non è così. I neocon condividevano, e condividono, con la sinistra una certa mentalità rivoluzionaria. Erano, per esempio, favorevoli all’interventismo internazionale ed erano convinti che il modo per sradicare il terrorismo fosse combattere le sue cause politiche e sociali. Avevano molto presente ciò che era successo in Germania e Giappone dopo la Seconda guerra mondiale e, soprattutto, quanto avvenuto dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Volevano ripetere qualcosa di simile in Iraq.

I neocon erano convinti che i valori occidentali si fossero fatti strada non grazie allo Stato, di cui diffidavano, ma al protagonismo della società civile, alle privatizzazioni e al buon governo. Ciò che colpisce è che identificavano, e identificano, la società civile con lo sviluppo dell’individuo e del mercato. Questo modo di intendere i valori occidentali era totalmente svincolato dai fattori culturali, dall’antropologia, dall’identità religiosa, dalle appartenenze sociali o nazionali. Una prospettiva universalista che non teneva conto delle storie particolari e, soprattutto, non teneva conto né del soggetto né dell’origine di tali valori.

I neocon non sono più vicini al potere, ma sopravvive il loro modo di pensare. È una concezione che pensa ingenuamente che i programmi di formazione sui diritti umani, sull’uguaglianza tra uomini e donne siano sufficienti per promuovere lo sviluppo. Una concezione che crede possibile che il cambiamento avvenga con la messa in marcia di meccanismi elettorali e istituzioni democratiche.

L’intervento fu un disastro, non solo per gli errori commessi da Paul Bremer nei primi mesi dell’occupazione. L’Iraq divenne la culla dell’Isis. Nel Paese si vota da più di quindici anni senza che si sia conseguita una minima stabilità. La sconfitta cominciata pochi mesi dopo aver vinto la guerra non fu la sconfitta dell’Occidente, ma di un’ideologia, apparentemente conservatrice, che riduceva il soggetto a individuo, la società civile a mercato e che condivideva con la sinistra una fiducia quasi cieca nella capacità di cambiamento dall’alto. Ora vediamo come lo stesso problema si pone non dove la democrazia viene instaurata, ma dove è presente da secoli. Individuo, mercato, istituzioni e valori universali non sono sufficienti per mantenerla in piedi.

L’occidentalismo dei neocon rispettava poco l’origine della tradizione occidentale. Una tradizione nella quale il soggetto non è individuo ma persona, la quale si costruisce mediante appartenenze e punti di riferimento relativi al significato della realtà. Una tradizione nella quale la storia è decisiva. Il peggio che può succedere all’Occidente è separare i suoi valori dalla loro origine.

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