Da quel che si vede in giro, anche se si tratta evidentemente di una sensazione e non di una osservazione scientifica, per il momento più che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) per la sanità è ripartita l’influenza. C’eravamo scordati della sua esistenza perché lo scorso anno non s’era fatta vedere dalle nostre lande già infestate dall’imponenza della seconda ondata del Covid.

Complice probabilmente l’andamento climatico di questo inizio di autunno (vien facile chiamarlo in causa, tanto ormai il senso comune vede nel cambiamento climatico l’origine di tutte le nostre sciagure: forse, come ci ricorda il Manzoni, che il senso comune abbia ormai sostituito il buon senso?), i segnali dell’influenza cominciano a essere evidenti e diffusi e taluni hanno già provveduto alle necessarie contromisure (vaccinazione anti-influenzale), e purtroppo pure i casi di infezione da Covid danno segni di ripresa (anche se ci auguriamo che si tratti di un fenomeno contingente, legato alle decisioni assunte dalla politica: obbligo di green pass e fenomeni annessi di crescita esponenziale dei tamponi e quindi dei positivi).

E il Pnrr? Si può dire che anche lui, che la ripresa ce l’ha nel nome, mostri segnali di ripartenza? Sì e no (ci riferiamo alla missione 6 del Piano, quella che riguarda la sanità).

Sì. Se guardiamo alle attività in corso, vediamo che, almeno in alcune regioni (per esempio, la Lombardia), c’è del movimento. Cominciano a comparire le prime deliberazioni che dicono cosa si deve fare, quante case di comunità e ospedali di comunità si devono attivare, che tipo di servizi si devono organizzare, quali e quante figure professionali è necessario coinvolgere, dove devono essere localizzate le strutture che ospiteranno attività e persone, e così via. Un fermento, a nostro avviso, più apparente che reale per il momento, perché fino ad ora di pecunia (che accende come sempre non solo gli appetiti, ma anche le intelligenze di molti) non se n’è vista e si sa che a far chiacchiere siamo tutti bravissimi e non costa niente. Certo, il “pronti via” in sanità richiede tempo adeguato e, volendo essere (se non ottimisti) almeno possibilisti, ci sentiamo di dare fiducia a quelli che (e ne abbiamo notizia sicura) stanno lavorando seriamente all’attuazione locale del Piano (anche se sono, purtroppo, pochi).

No. Se però l’accento cade sul tema della ripartenza, la nostra lettura di quello che sta accadendo vira necessariamente sul pessimismo. Come noto, le risorse per il Pnrr si qualificano sostanzialmente come fondi cosiddetti “strutturali”, che (come già successo per la scuola) andranno quindi almeno in via diretta solo al pubblico (ci piacerebbe sapere cosa pensa in proposito il privato, profit e non profit), e che il pubblico sta interpretando in termini letterali, cioè come interventi sulle strutture.

Chi si è mosso, per ora, si è limitato a individuare edifici che possono diventare disponibili, una volta ristrutturati e sistemati, come ospedali di comunità e case di comunità: e i più attivi in termini di proposte sono stati alcuni ex o nuovi aspiranti sindaci della tornata elettorale appena conclusa, che non hanno esitato a inserire questi interventi (anche quando non di loro stretta competenza) nel proponendo programma di governo del proprio territorio.

Certo, il parco strutture del Servizio sanitario nazionale (Ssn) ha sempre bisogno di rinnovamento e rivitalizzazione, e ben vengano quindi tali interventi, ma è questa l’indicazione per la ripartenza che ci viene consegnata dal Pnrr? Da questi quasi due anni di pandemia abbiamo imparato che dobbiamo ristrutturare (o riportare all’uso) un po’ di edifici? Sarebbe un ben misero insegnamento se terminasse lì. Farà bene al settore edilizio, se proprio vogliamo darne una valutazione in termini di ripresa, ma dubitiamo che farà bene e servirà alla sanità che i cittadini si aspettano di trovare dopo le esperienze negative messe in evidenza dalla pandemia.

Ma c’è anche un secondo movimento che osserviamo e che ci desta qualche preoccupazione: riguarda il personale del Ssn. Quello passato è stato un periodo veramente duro e difficile per gli operatori della sanità, soprattutto per quelli che hanno lavorato a più diretto contatto con la pandemia, e non ci si deve sorprendere quindi se molti di loro si stanno interrogando sulla possibilità di svolgere la propria professione con minore ansia e preoccupazione e senza mettere a repentaglio persino la propria sopravvivenza. In questo contesto il Pnrr rappresenta una opportunità che alcuni (in particolare del settore infermieristico, ma non solo) hanno interesse a utilizzare migrando, ad esempio, dal settore ospedaliero a quello territoriale. Sebbene la ripresa post-pandemia ci costringerà a una necessaria riflessione anche sulle figure professionali che servono al Ssn (tipologie e quantità), cominciare sottraendo agli ospedali figure cruciali non ci sembra una buona ripartenza.

Il Pnrr, in particolare a valle di un periodo così impegnativo per la sanità come quello che (probabilmente) ci stiamo lasciando alle spalle, non può avere la ripresa solo nel nome e non può non trarre insegnamento da quello che è successo. Possiamo dire (come è stato scritto di recente) che c’è speranza (non nel senso del ministro)? Noi riteniamo di sì, ma per questo ci sembra quanto mai necessario lanciare una sollecitazione: Pnrr sanità, se ci sei, batti un colpo per la ripartenza.

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