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La sovversione e il Mezzogiorno

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I “sovversivi” del Sud

La legge e ciò che sembra giusto possono andare in conflitto con estrema facilità. Molta parte delle nostra vita è condizionata da meccanismi che ci impongono di seguire regole strette come sentieri di montagna per arrivare ad obiettivi che riteniamo giusti e sacrosanti. Ci siamo tutti assoggettati a queste regole di convivenza comune, che chiamiamo leggi, per essere in condizione di esercitare le nostre libertà in modo efficace e senza rischiare di farci guidare dalla foga di intraprendere ogni azione pur di raggiungere ciò che riteniamo giusto. È spesso una lotta impari tra il desiderio di vedere realizzato qualcosa di buono ed il percorso che dobbiamo seguire per raggiungere la meta. Una lotta tra ciò che chiamiamo principio di legalità e ciò che riteniamo giusto per noi e per gli alti.

Questo conflitto è immanente nel nostro Paese e nelle democrazie occidentali.  Almeno tutte quelle che si sono dotate di un sistema costituzionale forte per impedire che si possa agire contro i cittadini usando la legge, ma che impongono che solo la legge può dirci ciò che è consentito e ciò che non lo è. Lo abbiamo scelto perché abbiamo vissuto secoli di arbitrio e vessazioni, perpetrate in nome di un potere che non aveva regole, che agiva con la forza e si ammantava da Stato, nel mentre seguiva la volontà assoluta di pochi.

Questa scelta non ha sempre impedito che in nome delle leggi venissero perpetrati veri e propri crimini, non ha evitato che ingiustizie gravi venissero consentite, non ha espulso dal sistema chi delle leggi si approfitta. Anzi, alcuni hanno usato le leggi per sé o per i propri accoliti per ottenere favori o prebende. Dire che qualcosa è a norma di legge, abbozzando un sorriso furbo, è la spia che la legge a volte consente ciò che ci appare ingiusto. Non può essere questo però un motivo per non seguire le regole.

L’unico rimedio è avere delle leggi che siano al passo con il sentire di chi deve essere governato e che siano al contempo nello spirito della Costituzione, la legge delle leggi. I popoli che hanno nel civismo diffuso la loro radice storica, quelli anglosassoni, vivono questo percorso con maggiore facilità, accolgono le regole in modo più attento e spesso ne sono interpreti scrupolosi e produttori eccellenti. Da noi la legge è spesso scritta male, interpretata oltre ogni ragionevolezza, applicata a caso (o a casi singoli) e finisce spesso per essere sentita come un qualcosa di alieno alla società a cui dovrebbe applicarsi. Il generale senso di fastidio per ogni regola è sentimento diffuso, dalla materia fiscale all’edilizia, e trova spesso i suoi campioni che della disobbedienza fanno un vanto o una bandiera.

Quando poi le regole devono essere applicate in territori in cui la cittadinanza è negata o afflitta, in territori in cui, come ha detto Draghi, si è condannati a vivere in condizione di privazione dei propri diritti, come nel Mezzogiorno, lo scenario si complica. Appare evidente che il mero richiamo al rispetto formale delle norme non può avere il sopravvento sui bisogni essenziali degli individui. Per essere giuste le leggi devono partire da un pavimento solido di diritti e opportunità uguali tra tutti coloro a cui quelle leggi si devono applicare. Altrimenti si scrivono regole che sono destinate a durare quanto le scritte dei bambini sulla sabbia in riva al mare. Questa condizione di asimmetria normativa riguarda ampi pezzi del Paese, che sono oggettivamente oberati da norme nella sostanza inapplicabili. Ma riguarda anche fette ampie di popolazione che non trova le risposte che cerca nelle leggi.

Il lavoro irregolare è spesso l’unica strada per guadagnare senza delinquere, costruire una casa senza piano regolatore è l’unico rimedio per avere un’abitazione senza attendere decenni o pagare tangenti, avviare un’attività senza tenere in gran conto le regole è l’unico modo per partire senza grandi capitali. Se poi si vogliono fare le cose “giuste” a favore di chi soffre, la legge impone comunque regole e limiti che appaiono, in quei casi, ancor più insopportabili. Molti sindaci sono andati a processo per aver firmato atti sacrosanti pur nell’incertezza delle norme, molti funzionari sono paralizzati dal terrore di firmare atti, necessari, temendo per se stessi. A loro si chiede, nella sostanza, di essere sovversivi. Di andare anche contro la legge per fare ciò che si deve.

Il nostro Paese ha affrontato diversi fenomeni sovversivi, dal terrorismo alla mafia. La lotta contro questi fenomeni ha visto spesso i loro protagonisti disconoscere la legittimità delle leggi loro applicate. I terroristi non accettavano le regole borghesi ed i mafiosi hanno sempre sostenuto di seguire le loro di leggi, con tanto di codice, pene e tribunali, come le uniche a cui riferirsi. Allo stesso modo la sovversione contro le regole “burocratiche”, quella fatta per il bene di altri, resta sovversione.

E lo Stato non può recedere dal suo ruolo di custode se non vuole perdere la sua stessa natura. Ed è per questo che quando la sovversione appare giusta, la violazione un atto dovuto e ciò che la legge vede come illecito appare a tutti un atto di coraggio, la politica deve fare il suo lavoro e cambiare le norme. A questo servono i martiri consapevoli, in pace con la loro coscienza, con i loro ideali, i loro bisogni essenziali. A ricordarci che leggi sono il fondamento della nostra convivenza, ma che le cose giuste hanno valore anche quando non lo sono per le leggi, e che la politica ha il suo primato quando rende le regole giuste, accoglie i sovversivi e ne comprende le ragioni perché le ritiene dei bisogni insoddisfatta di cui rendere conto. Se per il sindaco Lucano sarà così, staremo a vedere, ci vorranno anni e sentenze. Se per il Mezzogiorno sarà così, se potrà smettere di essere un territorio sovversivo condannato a vivere sotto i livelli minimi di diritto, e le sue ragioni saranno accolte dallo Stato che lo ospita, lo scopriremo a breve. Le premesse appaiono buone. Ma è tutto nelle mani della politica. Come sempre.

 

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