La gestione della spesa pubblica è ad un punto critico. Dopo la nuova manovra finanziaria che agirà sulle imposte, in gran parte, il Governo deve occuparsi di accelerare la spesa dei fondi Pnrr. Draghi sa che ancora non è pronto a presentare i risultati che l’Europa attende in termini di spesa reale effettuata e che deve, per mantenere fede agli impegni, pretendere dalla burocrazia uno scatto in avanti. Nel frattempo si trova a gestire la crisi del rapporto tra Governo e comuni. Molti enti locali sono in situazioni di dissesto conclamato soprattutto nel Mezzogiorno. In larghissima parte quei comuni faticano ad offrire i livelli minimi di assistenza che la legge chiede vengano erogati ai cittadini, il tutto mentre si continuano a muoversi sullo sfondo gli spettri del regionalismo differenziato.
Come uscirne? Draghi sa che non può lasciare gli enti locali in balia di se stessi per diverse ragioni, tutte molto rilevanti. La prima è che i comuni sono i primi erogatori di servizi e non ha molto senso prorogare i bonus facciate e simili mentre le strade restano piene di buche e i trasporti sono inesistenti. La massa di denaro che è stata messa a disposizione dei privati non giustifica la solita litania della carenza di fondi. Altro motivo è che serve un’operazione di reale bilanciamento nella qualità e quantità di servizi erogati ai cittadini che vivono in zone depresse rispetto a quelli che risiedono in aree più avanzate. La cittadinanza deve essere declinata in modo uniforme rispetto ai servizi offerti. È un obiettivo dell’Europa e anche un reale interesse del Paese avere minori differenze tra le diverse aree territoriali. Infine a nessuno sfugge che senza comuni forti le politiche di rilancio e di sicurezza dei territori sono solo progetti impossibili da attuare. Senza tecnici nei comuni e vigili per strada la ripresa rischia di divenire un blob di interventi senza controllo e coordinamento.
Come si possa, quindi, offrire ai comuni in difficoltà una via d’uscita che sia anche costituzionalmente accettabile è la vera sfida.
La strada di leggi speciali e norme salva-comuni pare definitivamente chiusa. Non ci sarà nessuna legge speciale con dentro il nome di un comune, neppure norme salvifiche inserite in modo improvviso in qualche collegato.
Il problema è troppo strutturale ed economicamente rilevante per poterlo relegare a qualche comma di una leggina.
La questione può essere risolta se, e solo se, il rapporto tra Governo ed enti locali in difficoltà viene gestito così come l’Europa ha gestito il rapporto con il nostro Paese. Occorre abbandonare la logica dell’austerity e della reprimenda per abbracciare un nuovo corso di espansione dei servizi e dei diritti effettivi dei cittadini. Perché solo i cittadini più deboli a soffrire dei disservizi dei comuni. Non avere trasporti pubblici, assistenza sociale, servizi alle famiglie incide su chi ha reddito basso e non ha le risorse per sopperire. Se un comune può pagare il trasporto dei disabili ed un altro no, si sta togliendo un diritto ai cittadini deboli dei comuni in dissesto non punendo gli amministratori che hanno creato quel dissesto. Ai cittadini si deve poter offrire una strada di rapida coesione dei loro diritti, non una distinzione sempre più ingiustificabile basata sulla banale collocazione geografica.
Su questo presupposto il Governo può promuovere un patto di riequilibrio dei diritti dei cittadini affidandone l’attuazione agli enti locali e chiedendo in cambio un graduale ma rapido adeguamento del livello di rispetto delle regole di gestione.
Recuperare i tributi locali inevasi, mettere ordine nella partecipate, dare attuazione alle dismissioni patrimoniali programmate ed in generale chiedere che le imposte locali siano pagate così come i canoni per le case popolari, sono doveri da adempiere che devono andare di pari passo con le erogazioni necessarie a rifinanziare i servizi che i cittadini meritano.
Un patto tra enti locali, Governo e cittadini con cui avviare una fase di risanamento finanziario e civico dei comuni che vi aderiscono con verifiche periodiche del grado di reale applicazione dei contenuti del patto, prevedendo che se così non sarà i fondi verranno ritirati e gli enti lasciati alla loro sorte.
In pratica, la stessa dinamica con cui, tramite il Next Generation, l’Europa ha concesso a noi come Paese di ricevere un rilavante contributo finanziario in cambio di reali passi in avanti sulla riduzione delle disparità.
Sarebbe un’applicazione di quel piano e una strada che responsabilizza gli amministratori locali facendo sentire lo Stato davvero al servizio dei cittadini.
Se questa fosse la strada, nessuno potrebbe tacciarla di illogicità o di essere vessatoria, perché avrebbe lo stesso percorso, le stesse motivazioni, le stesse procedure che il Paese ha trattato ed accettato in Europa. Draghi può imboccare questa strada come altre, e sul piano tecnico molte possono essere le soluzioni, quello che però sa è di non poter abbandonare cittadini ed enti locali, proprio nel mezzo del più grande intervento finanziario del dopoguerra. Sarebbe incomprensibile ed ingiusto. E Draghi non lo è.
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