“Il mondo è ben così diserto d’ogne virtute, e di malizia gravido e coverto.” È difficile non accorgersi della amara attualità di queste parole con le quali Dante, nel XVI canto del Purgatorio, descrive il suo tempo. Virtù in effetti, anche oggi, se ne veda poca, rabbia e stanchezza tanta. Veramente il deserto avanza. Lo riconosciamo nel cuore dei troppi ragazzi che rifiutano la vita o l’impegno con essa, nella assurdità di serie televisive sempre più violente che ci invadono, nella apparente facilità con cui si uccide e ci si uccide, nel male di cui, come dice Dante, il mondo è invaso e coperto.
Anche ora che l’economia è in ripresa, che la scienza sta tenendo testa al virus, che musei, stadi e perfino le discoteche (!) hanno riaperto, continua a serpeggiare un malessere che toglie fiato, voglia, speranza. Ma di che cosa abbiamo bisogno per riprendere vigore, per ritrovare il gusto di affrontare con pienezza la vita, per smettere di cercare confort zone in cui rifugiarci, per riprendere la passione di mettersi insieme agli altri a costruire e progettare? Cosa può farci ritrovare anche il coraggio di mettere al mondo figli, lasciando che il naturale desiderio di averne vinca paure e insicurezze?
Se guardiamo la nostra esperienza, quella semplice e quotidiana, possiamo riconoscere facilmente che cosa ci rimette in moto, che cosa nell’istante ci dà l’energia per affrontare la difficoltà, la malattia, il bisogno. Una cosa semplice: il bene! Persone che facciano bene ciò che sono chiamate a fare, che siano medici o artigiani, insegnanti o politici, agricoltori o magistrati, operai o dirigenti d’azienda. La realtà esiste, con le sue regole, la sua oggettività, la sua verità. E fare bene significa essere leali con la realtà, imparare a conoscerla, incrementare le proprie competenze, imparare da tutti e saper condividere con chiunque. Da quando andiamo a fare la spesa a quando siamo ammalati, ognuno di noi sa cosa vuol dire avere a che fare con persone che fanno bene il proprio lavoro. Ma il bene non sta solo con il “fare” ma anche con il “volere”. Volere bene! anche qui l’esperienza ci dice quanto l’essere voluti bene, l’essere oggetto di amore, ci rimetta in moto. Diceva Houellebecq in un recente dialogo “l’amore si prende quando c’è, non si guarda da dove proviene”.
Ci sono uomini e donne che hanno speso la vita facendo bene quello che erano chiamati a fare e volendo bene a chi avevano intorno. Persone che hanno obbedito alla realtà, nell’eroismo o nella più normale quotidianità, compiendo gesti clamorosi o vivendo in allegra letizia malattie e perfino deformità! Agli inizi dell’anno 1000 il piccolo Ermanno lo storpio, nato deforme, educato in monastero, tanto fu amato e tanto amò tutto ciò che lo circondava, che riuscì a studiare, imparando le lingue antiche, dedicandosi alla storia, alla musica, all’astronomia. Scrisse trattati scientifici, compose Inni religiosi (sua è la Salve regina!), riuscì perfino a muovere le sue povere mani per costruire orologi e strumenti musicali. Un esempio di quella obbedienza alla realtà che porta a fare bene ciò che si è chiamati a fare e a stare con letizia dove si è!
La tradizione cristiana chiama persone così Santi. E don Giussani, nella presentazione al libro di Martindale, appunto titolato Santi, dice che “il santo non è né un mestiere di pochi né un pezzo da museo. Il santo è un uomo vero perché aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore”. E aggiunge: “Il vero problema della santità cristiana non è la scelta di un atteggiamento da avere nel mondo, ma il riconoscimento di Qualcosa che è accaduto e ci muta giorno per giorno il volto.” È questo Qualcosa che i Santi riconoscono nella realtà e a cui con semplicità aderiscono. Uomini così sempre nella storia hanno reso piena di bene la vita propria e degli altri. Perché hanno messo in campo Dio, il Mistero. Quel fattore che spiega la vita e che l’esistenza dei Santi ha reso incontrabile e sperimentabile per chiunque.
Allora c’è proprio bisogno di Santi!
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