Stato e società civile, il nuovo patto

Non servono solo i soldi per mettere il Mezzogiorno in carreggiata. È necessario un nuovo patto tra lo Stato e le forze migliori della società consapevole e produttiva

Non servono solo i soldi per mettere il Mezzogiorno in carreggiata. Senza risorse per infrastrutture e per risollevare i disastrati conti degli enti locali difficilmente si potrà davvero superare le differenze che esistono nel Paese. Ma senza ripensare la società e i rapporti tra cittadini e Stato lo sforzo andrà nella direzione della dissipazione, perso nelle inefficienze. Il tema del capitale umano è spesso taciuto dalla politica. Eppure è uno degli elementi più allarmanti che ha indotto l’Europa a riflettere su come agire nel lungo periodo.

La società meridionale appare in evidente affanno. I ceti medi sono rappresentati per la maggior parte da anziani percettori di stipendi pubblici o da pensionati a vario titolo. Ridotta è la percentuale di operatori economici indipendenti o di dipendenti di aziende private. La maggior parte di loro vive nelle grandi aree urbane ed è comunque minoranza. I giovani continuano a cercare altrove la loro realizzazione e le aree interne sono di fatto spopolate.

Accanto a chi ha un reddito si accompagna un folla di percettori di sussidi, di inoccupati e soggetti che galleggiano tra assistenza statale e lavoro nero. Quest’ultimo è ancora una voce sostanziale dell’economia del Paese e nel Mezzogiorno resta una delle principali alternative ad un’occupazione reale. Lo stile di vita è profondamente condizionato da ciò. Lo Stato è invocato come dispensatore di prebende, o insultato come erogatore di servizi pessimi ed in mano a soggetti che fanno fatica a cambiare le cose, terrorizzati di perdere il consenso.

La riscossione delle imposte locali è a livelli minimi. Nella sola città di Napoli solo il 30% versa le imposte locali di ogni genere. Il resto non le evade, semplicemente non le paga. E questo da anni e ben prima della pandemia. In questo contesto la criminalità organizzata, o meno, vive serenamente e continua a perpetrare la propria cultura di sopraffazione e morte, oggi accompagnata dall’ostensione smargiassa sui social come metodo di affermazione sociale. Anche le immagini sacre vengono venerate non per ciò che raffigurano ma perché riconducibili a boss che le hanno installate, come scoperto dai Carabinieri di Napoli. In questo contesto si genera una diffusa idiosincrasia alle leggi ed alle regole che affonda le radici nel ribellismo storico del Mezzogiorno.

Questo pastone sociale ha delle peculiarità che lo rendono molto meno simile alle società del nord Europa, che pure soffrono una crisi diversa. Iniettare solo denari senza avviare una seria riflessione su questi punti non porterà al Mezzogiorno alcun beneficio reale.

Un pezzo del lavoro di uno Stato, che da anni pare essersene dimenticato nei suoi esponenti, è quello di agire con un tasso etico superiore a ciò che lo circonda fungendo da primo agente di diffusione e di promozione di una convivenza civile e rispettosa. Lo Stato non può avere successo se non abbraccia come propria missione una riscoperta dei valori etici minimi: il buon governo, la responsabilità dei politici coinvolti, la selezione di una burocrazia nuova e giovane che sia coinvolta nella missione di dare sostanza reale al futuro dei territori dove opera. Fino a pochi mesi fa i messaggi sono andati nella direzione opposta. I soldi regalati al crimine con il reddito di cittadinanza, le moratorie sul recupero dei crediti dei comuni, la carenza di reclutamento di personale in grado di far rispettare le regole più semplici, hanno sancito un sostanziale abbandono del territorio ed un lassismo generalizzato e giustificato dal momento particolare che si sta vivendo.

Ma questa scelta fa arretrare i diritti a favore dei soprusi. Molto, ad esempio, si può fare partendo dalle risorse a disposizione, soprattutto incrementando le attività di controllo del territorio, ed alzando il tasso tecnico della burocrazia meridionale. Facendo assunzioni di qualità numerose. Occorre inserire una nuova generazione di funzionari e dirigenti per dare sostanza alla ripresa e fare buona occupazione. Ed agire in modo chiaro sui territori per far partire una rivoluzione vera nel Mezzogiorno.

La sfida è complessa perché in questo clima di generale mollezza si è accomodata una buona parte della società meridionale che ha trovato un comodo rifugio nell’assenza delle regole. Mettere in moto a questo percorso sarà forse il più doloroso, quanto necessario, atto di responsabilità che la politica dovrà fare se vorrà ottenere dei risultati. La società civile pare ormai disinteressata a trovare soluzioni, forse giustamente spaventata e disillusa, e non può che rivolgersi a chi la guida per trovare una strada nuova.

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