È passata più di una settimana dalle elezioni regionali in Venezuela e possiamo farci un’idea più precisa di quello che è successo. Le elezioni regionali, con poco peso politico, erano state ritenute un test per verificare se il regime di Maduro, da tempo diventato una dittatura di fatto, poteva portare a termine un processo elettorale e istituzionale che restituisse la democrazia ai venezuelani. Queste votazioni si ponevano come un esperimento per verificare la possibilità di elezioni presidenziali realmente oneste. 

Da qualche mese sono in corso nuove trattative, attualmente interrotte, tra opposizione e Governo. Il chavismo cerca di ottenere una qualche legittimazione e di ridurre la pressione generata da Guaidó, eletto Presidente dell’Assemblea Nazionale nel gennaio 2019 e riconosciuto come Presidente ad interim dagli Stati Uniti e decine di Paesi.

Apparentemente, il risultato del 21 novembre conferisce al chavismo la legittimità che cercava, dato che ha conquistato 20 dei 23 governi regionali e quello di Caracas. I leader dell’opposizione sono rimasti in silenzio dopo l’annuncio dei risultati. Per molto tempo questa opposizione non ha partecipato ad alcun appuntamento elettorale, ora qualche suo leader ha incoraggiato la partecipazione al voto per sconfiggere i candidati di Maduro. Il disastro sembrerebbe totale. Una missione di osservatori dell’Ue, contro il giudizio del Partito popolare europeo, è arrivata per controllare il rispetto delle regole e ha concluso che le condizioni di voto erano migliorate.   

Per quanto incredibile possa apparire, Maduro può contare su un largo sostegno popolare che lo accredita come un leader democratico? Sono i nostri pregiudizi che ci impediscono di riconoscerlo? Ciò che è sicuro è che, dietro le apparenze, continua a nascondersi un regime che si situa tra l’autoritario e il totalitario. Il risultato elettorale si basa su una bassissima partecipazione al voto, poco più del 40%, malgrado il Governo abbia tentato con tutti i mezzi, comprese le minacce, di portare alle urne i venezuelani. Andando di casa in casa nelle città e nei principali paesi perché le urne si riempissero, senza però riuscirci e l’astensione è diventata una forma di protesta. 

Nelle votazioni sono stati rispettati, in qualche modo, procedimenti elettorali che possono dare l’impressione di elezioni libere: la pressione era stata esercitata in precedenza. I partiti di opposizione erano stati messi sotto controllo da mesi, statalizzati. Il sistema dei sussidi ha creato un’ampia rete clientelare in un Paese dove tutta la popolazione è povera e la stragrande maggioranza vive con meno di un dollaro al mese. Tutti i mezzi di comunicazione sono nell’orbita dello Stato. Nelle carceri continuano a esserci centinaia di prigionieri politici e sono frequenti le “esecuzioni extragiudiziali” da parte della polizia. La missione dell’Ue, anche se ha parlato di “miglioramenti”, ha però riconosciuto “la mancanza di indipendenza dei giudici e che alcune leggi hanno compromesso la parità di condizioni e la trasparenza delle elezioni”. Non c’è nemmeno libertà di espressione, né diritto all’informazione.

Spesso, quando si parla del Venezuela e di altri Paesi latinoamericani, si pensa che siano necessariamente condannati al populismo: era la famosa tesi di Huntington a metà degli anni ’90, quando affermò che l’America Latina non era Occidente. Era un mondo che aveva incorporato elementi delle vecchie civiltà indigene e che si era costruito mescolando una cultura populista, sperimentata dall’Europa in minor grado e di cui il Nord America non ha mai sofferto. Questo spiegherebbe perché i Paesi della regione sarebbero “Paesi a pezzi”. Per questo, in The Hispanic Challenge Huntington arrivò ad affermare che i latinoamericani arrivati negli Stati Uniti erano la più grande minaccia per il Paese.

Gli Stati Uniti non sono rimasti immuni negli ultimi anni dal populismo, ma non perché sono diventati un Paese demograficamente latinoamericano, ma per l’insoddisfazione di un’alta percentuale della popolazione bianca. L’America Latina è il “nuovo Occidente”, il prodotto di un meticciato in cui si è rinnovata, forse per l’ultima volta, l’anima occidentale. Non c’è niente nella sua genetica che condoni il populismo, semmai il problema è il modo nel quale le élite non meticce hanno fatto la rivoluzione liberale.

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