La Procura di Milano ha archiviato l’inchiesta contro gli operatori del Pio Albergo Trivulzio denunciati per i morti di Covid-19 nel momento cruciale della pandemia. In sintesi, i Pm hanno sostenuto che: non è dimostrabile che i reati siano riconducibili alla responsabilità di chi guidava la nota struttura assistenziale milanese; l’eccesso di mortalità al Pat per Covid (321 morti tra gennaio e aprile 2020) è in linea “rispetto a quanto avvenuto nelle Rsa del Milanese”; non vi sono state “carenze di assistenza sanitaria” da parte del Pat verso i malati.
In una parola, è stato fatto ciò che si poteva, considerando il contesto drammatico di quei mesi. Come sappiamo però il momento più critico ha anche reso più evidenti i problemi di fondo che il sistema socio-assistenziale si trascina da tempo, dovuti soprattutto all’aumento dei bisogni di una popolazione sempre più anziana e alla crescita delle possibilità di cura.
Non a caso, il Ministro Roberto Speranza ha istituito una commissione, presieduta da Monsignor Vincenzo Paglia per affrontare il tema di una riforma. La Fondazione per la Sussidiarietà, in collaborazione con Politecnico di Milano, Cesc/Università di Bergamo, Crisp/Università di Milano Bicocca, Università di Parma hanno dato vita alla ricerca, “Anziani e disabili: un nuovo modello di assistenza”, che sta per essere pubblicata.
Che cosa andrebbe fatto? Il primo passo, apparentemente scontato ma spesso disatteso, è riconoscere la diversità dei bisogni: esiste l’anziano autosufficiente e l’anziano non autosufficiente; esiste la famiglia che può prendersi in carico la persona a casa ed esiste la famiglia che non ne ha la possibilità; esiste un tipo di disabilità che apre al mondo delle Paralimpiadi, e una che richiede assistenza; esistono famiglie povere e famiglie ricche; persone che accedono alle informazioni di cui hanno bisogno, e altre che sono meno consapevoli.
In un sistema moderno la complessità va guardata fino in fondo. È necessario rafforzare l’assistenza domiciliare, ma nello stesso tempo è importante anche che le Rsa siano luoghi umani, non di isolamento sociale. Occorrono strutture a bassa intensità di cura, ma anche ad alta intensità. Serve anche mettere in rete tutto questo senza sottovalutare il ruolo fondamentale dei medici di base.
Dal punto di vista dell’offerta è arrivato poi il momento di concentrarsi sulla valutazione della qualità del servizio, sulla sua efficacia ed efficienza. Dal lavoro menzionato emerge il fatto che la capacità di assistere non sia frutto solo degli investimenti nell'”hardware”, ma dipenda per lo più da qualità umane e relazionali, oltre che professionali.
Occorre perciò farsi domande semplici ma radicali: chi risponde meglio al bisogno dei soggetti fragili? Quali fattori spiegano la soddisfazione dell’utente? Quali esperienze mostrano una migliore allocazione delle risorse? E chi è più attento all’investimento in capitale umano?
Da questo punto di vista è anche arrivato il momento di superare i pregiudizi con cui viene considerata la natura giuridica degli enti.
Molti di questi enti rappresentano delle eccellenze perché affondano le loro radici nella storia dei territori a cui appartengono, come la Fondazione Don Gnocchi e la Fondazione Sacra Famiglia il cui operato viene approfondito nella ricerca citata.
Il ruolo dell’ente pubblico rimane cruciale e centrale: con la sua capacità di programmare e valutare in modo imparziale, deve garantire alle diverse strutture la possibilità di perseguire al meglio i loro obiettivi di cura, in modo che si possa continuare ad assicurare quel welfare universalistico, frutto di tante battaglie e sacrifici per una società più umana.
Durante i momenti più drammatici della pandemia da Covid-19, più di un osservatore ha accostato la cultura europea e il suo welfare universalistico alla figura di Enea. Il protagonista dell’Eneide prende sulle spalle Anchise, il suo vecchio e paralizzato padre, per portarlo in salvo dalla caduta di Troia, e protegge il figlio Ascanio, spaventato. Che cosa s’intende fare oggi del diritto di ciascuno, indipendentemente da classe sociale o reddito, di accedere a servizi sanitari e assistenziali di uguale qualità?
La cultura sussidiaria – come mostra questo studio – ha l’ambizione di offrire gli strumenti perché quel diritto possa essere garantito. Perché quella “pietas” e quindi quella cura al massimo delle possibilità possa essere assicurato, secondo modalità continuamente studiate, approfondite, condivise.
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