Marx è morto, ma la profezia di Francis Fukuyama sta malissimo. Caduto il Muro di Berlino, il famoso politologo vide la “fine della storia”, cioè una nuova Città del sole in cui il mercato globale avrebbe inesorabilmente portato all’affermazione del capitalismo, della democrazia e, sottinteso, della leadership morale, economica e pacificante pax americana in tutti i paesi del mondo. Non è andata esattamente così. L’egemonia Usa è quanto meno in sofferenza, vedi Cina; e il numero dei paesi democratici è minore rispetto al 1989. Non solo: crisi, scricchiolamenti e deficit di democrazia si vedono in Usa (e non solo per l’assalto filo-trumpiano al Campidoglio), come nella stessa “madre Europa”, in primis Polonia e Ungheria, ma non solo.
Il recente “Global Summit for Democracy” è nelle intenzioni del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, un tassello della strategia per rilanciare il ruolo guida degli Usa nel mondo, cioè “gli impegni e le responsabilità globali” che a Trump non interessavano, e nello stesso tempo per legittimarli come modello di democrazia. Biden sembra riproporre lo scenario (o la rappresentazione) di un mondo nettamente diviso in due blocchi, come ai vecchi tempi, mondo libero – mondo sovietico, ma con una dizione aggiornata in “democrazie contro autocrazie”. Una contrapposizione netta con Cina e Russia. Buoni contro cattivi, 110 Paesi buoni contro gli altri 98, dove la linea di demarcazione sarebbe appunto la democraticità. Linea flessibile, sulla lavagna compare l’Ungheria tra i cattivi e la Polonia tra i buoni, in compagnia di godibilissime e affidabili democrazie come Nigeria, Pakistan, Brasile, ecc. Bah. Questa “incongruenza” indica che l’interesse primario è geo-politico, di definizione e protezione delle aree di influenza.
E siccome “cca nisciuno è fesso”, è forte il rischio che la campagna bideniana per la democrazia sia percepita come una foglia di fico un po’ moralista e un po’ ipocrita.
A parte questi “dettagli” (chi scrive non ha l’idiosincrasia per la realpolitik, ce l’ha per l’ipocrisia), c’è da chiedersi come sia possibile affrontare nella logica dei blocchi problemi globali come la minaccia nucleare, il cambiamento climatico, la transizione energetica, le migrazioni, la pandemia. E, poi, come sia possibile garantire un buono stato di salute della democrazia solo badando ai suoi aspetti procedurali (pur imprescindibili, ovviamente), trascurando aspetti sostanziali, che sono culturali e antropologici.
Aiuta a rifletterci quanto sottolineato in un articolo sul n. 3 di Nuova Atlantide da Mikel Azurmendi, il grande sociologo basco recentemente scomparso. Egli addita l’origine delle difficoltà delle democrazie occidentali nella perdita del concetto di persona (copyright cristianesimo) che ha lasciato affermare un tipo umano individualista, narcisista e isolato (nutrito di consumismo e nichilismo) che “non socializza” ed ha “bisogno di un nemico”.
Aiuta poi l’invito a “non parteggiare ma partecipare” che papa Francesco ha dato nel corso del suo viaggio a Cipro e in Grecia. Egli – anche riferendosi alle nefandezze che continuano ad accadere con i migranti, e non solo tra Bielorussia e Polonia – non ha usato mezzi termini parlando di “arretramento della democrazia”. “Partecipare e non parteggiare” alla politica come “arte del bene comune”. Questo introduce alla necessaria cultura della solidarietà e della sussidiarietà. Non per ripetere un tormentone, ma per ribadire che la vera democrazia richiede l’esistenza – e il riconoscimento – di formazioni sociali e realtà associative (corpi intermedi) insorgenti dal vivo della società, educate ad orientare specifici impegni e interessi al bene comune. Diversamente la democrazia dell’individuo isolato si riduce sempre più a un like o dislike su caselle predefinite dall’alto; oppure al disinteresse.
E poi: può una democrazia, che si dica inclusiva, preoccuparsi molto di tradurre in diritti (“individuali”) tutto l’immaginabile e poco o niente della crescente, talvolta vergognosa, diseguaglianza? Su questo punto il papa non ha chiamato a sostegno né Marx, né Perón, né Beppe Grillo, ma Alcide De Gasperi: “Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale”. Tanto per ricordare all’Europa da dove, e da chi viene.
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