L’industria è pronta alla sfida della “Ripresa Totale”: della risalita e superamento della drammatica voragine aperta dalla pandemia nei conti della seconda potenza manifatturiera dell’Ue. Barbara Colombo, presidente dell’Ucimu, ha usato l’indicativo nel suo bilancio-ponte fra il 2021 e il 2022 (nei fatti un lungo “anno doppio” oltre il 2020 “horribilis”). “Il trend positivo registrato nel 2021 – ha detto ieri nella conferenza stampa di fine anno dell’associazione dei produttori di macchine utensili – proseguirà anche nel 2022, anno che coinciderà con il pieno recupero del crollo dovuto allo scoppio della pandemia”.
Tutte le cifre in tabella – per un settore trainante del Made in Italy – registrano incrementi a due cifre: la produzione (+22,1%), le consegne sul mercato domestico (+27,8%), l’export (+17,8%), il fatturato complessivo, che ha toccato i 9 miliardi contro i 7,5% di fine 2020. Un rimbalzo scontato? Nulla lo è, nulla lo sarà più nei territori inesplorati di un lungo post-Covid. Per questo la performance immediata della meccatronica italiana – mentre la quarta ondata pandemica spazza ma non piega l’Italia – sembra valere il doppio: o forse anche di più, tenendo anche conto del deciso orientamento alla transizione digitale ed ecologica assunto dal Pnrr e dalla strategia Recovery dell’Ue. Perché Industria 4.0 (e forse nel 2022 sarà già il caso di citare la versione successiva) è la premessa di medio periodo all’accelerazione impressa da NextGenerationEu già poche settimane prima del drammatico “break” imposto dalla pandemia.
È nella fase elaborativa dell’originario Piano nazionale Industria 4.0 – nel 2017 – che l’Azienda-Italia ha compiuto l’ultima riflessione strutturale sulla crisi della produttività del lavoro, che rappresenta la vera palla al piede dell’intera economia a partire dal debutto dell’euro. E sono stati i risultati delle misure di incentivazione via via confermate da vari Governi a rendere credibile la strategia della digitalizzazione industriale (con una non piccola attenzione alla sostenibilità ecologica), in chiave “win win”.
Dello stimolo all’utilizzo di tecnologie “intelligenti”, in Italia, hanno beneficiato sia la domanda che l’offerta. Industria 4.0 non ha solo costruito un argine al crescente invecchiamento del parco-macchine della manifattura italiana, ma ha sollecitato la capacità produttiva di un settore forte nella tradizione imprenditoriale e nei numeri. E il circuito virtuoso ha avuto impatti su quantità e qualità dell’occupazione: smentendo – ancora una volta – le teorie sugli effetti distruttivi di posti di lavoro da parte dell’innovazione tecnologica. Se un settore è produttore netto di innovazione – e l’Italia “formato Ucimu” lo è – vincono tutti: gli imprenditori e gli addetti esistenti e soprattutto nuovi (i periti, gli ingegneri, i diplomati degli Its) che trovano nel proprio Paese un reale hub occupazionale, di alta formazione permanente. E i talenti individuali vengono messi a frutto in un gioco chiamato “competitività esterna” del sistema-Paese.
Il caso della macchina utensile è esemplare ma per fortuna non unico. E i bilanci di fine anno – soprattutto quelli delle 20mila imprese che effettivamente formano il “club del Made in Italy” – nel dicembre 2021 paiono interrogare, cioè provocare in modo speciale le forze politiche (e sindacali) che si azzuffano attorno alla Legge di bilancio.
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